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Upgrade

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VOTO: 7

Disabile o Superuomo?

Si muove su territori conosciuti, questo Upgrade scritto e diretto da Leigh Whannell. Quelli, tanto per rendere l’idea, che pencolano tra cinema di genere – fantascienza, nella fattispecie – e ambizioni autoriali sulla deriva iper-tecnologica dell’umanità in stile, inarrivabile, Blade Runner. Una produzione a basso costo (come sempre accade, del resto) targata Blumhouse ma ad alto tasso d’idee, con il king-producer Jason Blum che stavolta non ha sbagliato ad affidarsi ad un Whannell in netto miglioramento rispetto all’opera prima dietro la macchina da presa, cioè il fiacco Insidious 3 – L’inizio.
Riconducibile in qualche modo, anche sul piano formale, alla gloriosa epopea anni ottanta-novanta del cyberpunk cinematografico, con Terminator (1984) di James Cameron a fare da “involontario” apripista a tutta una serie di opere che vedono le macchine sovrastare da un punto di vista scientifico l’essere umano (un titolo per tutti il cult Hardware di Richard Stanley, datato 1990), Upgrade funziona bene sin dall’inizio su più livelli. Su quello narrativo è un thriller con evidenti venature noir, pienamente rappresentativo dell’alto tasso cinefilo del proprio sceneggiatore/regista. Il plot vede, in un futuro distopico, il povero Grey Trace (eccellente nel ruolo il Logan Marshall-Green già apprezzato in The Invitation, ormai pronto a divenire una star) rimanere vittima di uno strano incidente automobilistico, con agguato a seguire, che lo lascia paralizzato nonché impotente nell’assistere all’omicidio della moglie Asha, la quale viaggiava con lui. Tetraplegico sul letto d’ospedale, riceve la visita dell’ultima persona vista prima del tragico evento, ovvero il giovane genio dell’informatica Eron Keen, il quale gli propone una sorta di faustiano “patto con il diavolo”: se gli verrà installato un microchip di ultimissima generazione nel cervello tornerà ad essere l’uomo che era, anzi decisamente migliorato. Da qui il titolo (un upgrade, appunto) ed un intrigo a trama suggestivamente circolare che il Whannell sceneggiatore dimostra di gestire con buona perizia.
C’è poi, ben evidente, l’aspetto filosofico a permeare l’intera durata del lungometraggio. Con la canonica interrogazione sul confine tra anima e macchina (ricordate il primo Robocop di Paul Verhoeven?) e su quale aspetto sarà destinato a prevalere. L’uomo non può fare a meno dell’impianto – peraltro dotato di enorme intelligenza, prontezza e persino spiccata personalità – pena il ritorno all’immobilità; ma anche la tecnologia ha bisogno di un corpo vivente per esistere a propria volta. E tale conflitto viene ben evidenziato dal film attraverso il dialogo pressoché continuo tra la voce di Grey e quella interiore di Stem, perché anche i chip hanno diritto, mai come in questo film, ad avere un appellativo. E stavolta la lotta “intestina” possiede indubbiamente un certo peso di natura empatica, non sfociando affatto nella banale commedia tra amici come accaduto nel recente prodotto Marvel Venom.
Nonostante, come premesso nell’incipit, il tutto non brilli per particolare originalità – ma nel 2018 è ancora possibile la creazione di qualcosa di totalmente inedito, soprattutto nell’ambito del cinema di genere? – Upgrade possiede anche l’affatto disprezzabile merito di trovare un epilogo d’effetto forse non imprevedibile ma pienamente coerente con il resto del racconto. Un finale pregno di amarezza sulla falsariga della morale di ogni episodio della seminale serie televisiva Black Mirror griffata Charlie Brooker, dove il progresso tecnologico non riesce ad alleviare, anzi, il dolore per l’impossibile ricerca di benessere da parte dell’intero consorzio umano. Un messaggio di fondo che Upgrade fa proprio con disinvoltura, coniugando al meglio intrattenimento e possibilità di riflessione su tematiche non così scontate come gran parte del cinema commerciale oggi prevede.

Daniele De Angelis

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