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The Waldheim Waltz

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VOTO: 6.5

The Waldheim Show

Kurt Waldheim ha rappresentato la figura politica e diplomatica di più alto rilievo nell’Austria del dopoguerra. Ricoprì l’incarico di segretario generale delle Nazioni Unite per due mandati, dal 1972 al 1981, e fu eletto presidente dell’Austria nel 1986, rimanendo in carica fino al 1992. La sua immagine pubblica fu duramente offuscata con lo scoppio del caso Waldheim,a metà anni Ottanta, la lunga e violenta discussione circa il ruolo ricoperto dall’uomo politico da giovane, in qualità di militare nell’esercito nazista, e il suo eventuale coinvolgimento in episodi di deportazione e nell’Olocausto. A più di trent’anni da quella vicenda, la regista Ruth Beckermann riesuma il clima politico dell’epoca, nel documentario The Waldheim Waltz, presentato in concorso a Filmmaker Festival 2018. Una vicenda storica dimenticata ma che ha molto da dire oggi, nell’Europa dove stanno crescendo movimenti neofascisti, partiti di estrema destra, come l’austriaco FPÖ, xenofobi e populisti.

Ruth Beckermann racconta l’epopea di Kurt Waldheim con materiale di repertorio, con un continuo andirivieni temporale, partendo da un proprio filmato, quello della manifestazione di protesta contro l’uomo politico, durante le elezioni presidenziali, cui aveva partecipato filmandola, nel maggio del 1986, in bianco e nero, con la qualità sgranata della vhs. La narrazione del film usa questo momento come centro di un’oscillazione cronologica, che gioca sui meccanismi della suspense. Lo spettatore, magari giovane e non austriaco, che non conosce nulla della questione, non ha nessuna informazione all’inizio del film sul personaggio politico, e sul perché sia oggetto di contestazione. Solo a un certo punto del documentario, si racconta lo scoppio del caso della sua presunta partecipazione, da soldato dell’esercito nazista, alle efferatezze del Terzo Reich. Da qui in poi la regista opera una scansione temporale da countdown, che si avvicina gradualmente al giorno delle elezioni. Si gioca con l’attesa secondo i meccanismi spettatoriali del cinema di genere e perdipiù con un falso finale, l’aspettativa viene inizialmente elusa, perché queste si risolvono non al primo turno, bensì al ballottaggio.
The Waldheim Waltz rientra nel filone dei documentari recenti incentrati su figure della storia recente controverse come Nicolae Ceausescu: un’autobiografia di Andrei Ujica o The Reagan Show di Sierra Pettengill e Pacho Velez, basati su materiale di repertorio, a volte inedito. Nel caso del lavoro della filmmaker austriaca, questo è ridotto a un fuori onda, che sbeffeggia Waldheim prima di pronunciare il discorso televisivo a seguito della sua elezione, mentre viene truccato con una signora che fa le pulizie. Ruth Beckermann non fa sconti allo storico statista. Che abbia partecipato o meno all’operazione Kozara del 1942 sul fronte jugoslavo, che portò alla deportazione di migliaia di partigiani serbi, non conta quanto il suo giudizio sminuente sullo stesso episodio storico. Una commissione di storici avrebbe poi minimizzato le possibili responsabilità di Waldheim, come si apprende dalla scritta finale del film. Era comunque troppo giovane e rappresentava un meccanismo insignificante perché potesse ribellarsi. Ma ancora poco importa. Conta il fatto che abbia prima smentito con forza, mentendo, e poi fatto delle ritrattazioni nel senso del ‘non ricordo’. La sussistenza di un substrato nazista nell’Austria dell’epoca è anche rappresentata dal rimpatrio in Austria, di Walter Reder, il criminale di guerra nazista, responsabile della strage di Marzabotto, scarcerato dal governo italiano. Le bugie e le contraddizioni di Kurt Waldheim sono in realtà quelle di un’intera nazione, che n’è uscita nel dopoguerra come vittima, come paese invaso nell’Anschluss, ma il popolo austriaco era fortemente favorevole all’annessione. Non ha quindi mai affrontato un processo di espiazione come la Germania, e, si sa, tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo, come diceva Primo Levi.

Una gran quantità di testimoni e esperti vengono intervistati, tra cui spicca il grande documentarista Claude Lanzmann. Ma l’atteggiamento della regista appare discutibile nel momento in cui rilegge la carriera diplomatica internazionale di Waldheim come sbilanciata verso i palestinesi, nel momento in cui per esempio accoglie Arafat all’Onu, che pronuncia il celebre discorso della pistola, cosa vera ma che non dovrebbe essere assimilata all’antisemitismo. E forse non è un caso che politicamente il presidente aveva una linea a favore dei valori tradizionali, della famiglia, del patriottismo, ecc. La regista evita invece di citare l’episodio in cui papa Wojtyla accolse con tutti gli onori il presidente austriaco in Vaticano, nell’indignazione generale. Ed è proprio l’indignazione che, se facciamo un confronto, è venuta a mancare nel mondo attuale.

Giampiero Raganelli

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