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Seberg

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VOTO: 6

La diva sfortunata

La mitica Jean Seberg, volto-icona della Nouvelle Vague, è rimasta impressa nel cuore di tutti con quella sua aria da eterna ragazzina e quel taglio di capelli corto e sbarazzino. Eppure, la sua vita non è certo stata tra le più felici. Malgrado l’indubbio appeal che questo personaggio ha esercitato e continua a esercitare sul pubblico di tutto il mondo, però, ancora non era stato realizzato nulla riguardante la sua vita e le sue tristi vicende. Almeno fino a oggi, quando, alla 76° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, è stato presentato Fuori Concorso il lungometraggio Seberg, appunto, per la regia di Benedict Andrews, già noto al grande pubblico per il poco riuscito Una, presentato alla Festa del Cinema di Roma 2016.
Il presente lavoro, dunque, è incentrato principalmente su uno dei periodi più bui della vita dell’attrice, ossia quando la stessa, dopo aver intrecciato una relazione sentimentale con l’attivista per i diritti civili Hakim Jamal, viene messa sotto stretta sorveglianza dall’FBI all’interno del progetto illegale COINTELPRO. Al via, dunque, una serie di avvenimenti inquietanti che metteranno a repentaglio la salute fisica e mentale della giovane Jean. Dato l’indubbio interesse che la figura della Seberg ha sempre sollevato, non stupisce il fatto che un lungometraggio come il presente possa destare l’attenzione di un gran numero di spettatori. Eppure, se già una volta Benedict Andrews ci aveva fatto storcere il naso, la stessa cosa si è verificata anche nella presente occasione, seppur con risultati di gran lunga migliori rispetto alla precedente pellicola. Il problema principale di un lavoro come il presente – malgrado una confezione tutto sommato pulita e priva di inutili fronzoli – è che, nel mettere in scena questo drammatico periodo, Andrews ha quasi “soffocato” la figura di Jean Seberg stessa, incentrandosi quasi esclusivamente sull’atto di spionaggio in sé e ritraendo l’attrice alla stregua di una personalità qualsiasi. Non viene fatto alcun accenno, ad esempio, alla sua carriera di attrice o ai suoi film maggiormente noti (salvo sporadiche eccezioni), né tantomeno viene dedicato abbastanza spazio all’ambientazione stessa – i mitici anni Sessanta – con una scarsissima attenzione dedicata, ad esempio, ai costumi o a possibili commenti musicali in linea con il periodo storico. E se, di fatto, i risvolti thriller sono complessivamente ben gestiti, con momenti in cui la tensione è palpabile, la cosa in sé non è sufficiente a far sì che l’intero lavoro possa dirsi realmente soddisfacente. Un plauso particolare, al contempo, va a Kristen Stewart, nel ruolo di Jean Sebeg, appunto: sia per quanto riguarda la sua fisicità che la sua interpretazione, l’attrice è riuscita alla perfezione a caratterizzare l’icona nouvellevaguista. Basterà, tuttavia, un’unica interprete a reggere un intero lungometraggio? Ovviamente no. Il presente Seberg, infatti, pur avendo al proprio interno diversi elementi degni di nota, non riesce, purtroppo, a spiccare il volo come dovrebbe, né tantomeno a caratterizzare a 360° un personaggio così importante.

Marina Pavido

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