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Andrey Tarkovsky. Il cinema come preghiera

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VOTO: 7

Nei luoghi dell’anima

La figura e il cinema di Andrey Tarkovsky sono stati più volte oggetto dell’attenzione di colleghi ancora prima della sua prematura dipartita in quel di Parigi nel 1986. Al 1983, infatti, risale il ritratto a lui dedicato da Donatella Baglivo dal titolo Poet in the cinema, ma in questo come nei successivi, tra cui Elegia moscovita del compatriota Aleksandr Sokurov, il baricentro e il filo conduttore erano focalizzati quasi esclusivamente sul modo di fare e concepire la Settima Arte da parte del cineasta russo. Ed ecco perché tra le tante biografie audiovisive in circolazione, ad oggi quella che maggiormente ha saputo restituire in maniera più tridimensionale un suo identikit è l’ultimo in ordine di tempo ad essere approdato sul grande schermo, ossia Andrey Tarkovsky. A Cinema Prayer (per l’uscita italiana Andrey Tarkovsky. Il cinema come preghera), presentato in anteprima mondiale alla 76esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica nella sezione “Venezia Classici Documentari”.
Un’esplorazione a 360° dell’esistenza sia dentro che fuori dal set ha permesso alla pellicola in questione di mostrare e raccontare tanto il maestro indiscusso che è stato, quanto l’uomo che c’era dietro la macchina da presa. In tal senso, il merito del documentario sta proprio nell’avere creato un equilibrio tra il racconto della sfera pubblica e quella privata, senza necessariamente scinderle o metterne una da parte. Nei precedenti lavori sul cineasta sovietico, compresi i numerosissimi scritti teorici, il discorso veniva pressoché monopolizzato dalla componente tecnica ed estetica, oltre che dall’approfondimento sulle e delle tematiche chiave dell’opera omnia. Del resto, si tratta di elementi che, data la loro riconosciuta potenza, hanno e continuano a influenzare e affascinare intere generazioni di addetti ai lavori. Di conseguenza, il risultati ottenuti non sono mai andati oltre il vademecum o il compendio più o meno esaustivo della filmografia e delle sue caratteristiche fondanti. Andrey Tarkovsky. A Cinema Prayer, nonostante il titolo faccia prefigurare la medesima direzione narrativa, invece la fa sua aggiungendo ad essa quella che conduce diritti all’altra faccia della stessa medaglia, ossia la dimensione più intima. Così facendo, lo spettatore ha potuto finalmente entrare in contatto e conoscere il percorso umano e artistico di una personalità che ha scritto pagine importantissime della storia della Settima Arte.
A farci e a farsi questo grande regalo è stato suo figlio Andrej Jr Andreevich Tarkovskij che ha firmato un documentario nel quale le suddette sfere confluiscono e si mescolano senza soluzione di continuità. Per farlo ha messo insieme con estrema cura e attenzione le tessere di un mosaico che una volta completato hanno il merito di consegnare al fruitore di turno le chiavi d’accesso nel complicato universo tarkovskijiano, laddove alla poetica e inimitabile estetica delle immagini si accompagna l’altrettanto inarrivabile potenza della materia prima trattata in termini contenutistici, che attinge a piene mani dalla spiritualità e dal metafisico. Il tutto lasciando la parola al regista stesso che condivide i suoi ricordi, il suo sguardo sull’arte, le riflessioni sul destino dell’artista e sul senso dell’esistenza umana. Grazie a rarissime registrazioni audio, lo spettatore può immergersi nel misterioso universo del suo immaginario cinematografico, comprendere e ripensare l’opera e il mondo interiore del Maestro. Il racconto è accompagnato da registrazioni inedite di poesie di Arsenij Tarkovskij, uno dei più grandi poeti russi del Novecento e padre del regista, lette dallo stesso autore. L’opera poetica di Arsenij ha sempre influenzato il cinema di Andrej, sottolineando il profondo legame culturale e spirituale tra padre e figlio.
A tutto questo, Andreevich accompagna un terzo livello di lettura che dona al progetto uno strumento in più per lasciare il segno e quel qualcosa è un viaggio fisico ed emozionale nei luoghi che hanno fatto da cornice al cinema e alla quotidianità di suo padre. In Andrey Tarkovsky. A Cinema Prayer si assiste a una serie di tappe che ci trasportano con gli occhi in quei luoghi che hanno fatto da “set” al lavoro e all’esistenza del protagonista. Una volta aperto l’archivio e l’album dei ricordi, dai quali l’autore ha tirato fuori per l’occasione frammenti di film (da L’infanzia di Ivan a Lo specchio, da Andrej Rublev a Stalker) foto, preziosi documenti (script, diari di lavorazione, appunti e storyboard originali) e materiali di repertorio, il racconto ci conduce per mano in un viaggio a tappe che fa scalo nelle location e nei paesi dove l’artista ha lavorato e soggiornato, in un cortocircuito spazio-temporale che dalla Russia arriva in Svezia, passando anche per l’Italia, quest’ultima terra adottiva dell’artista.

Francesco Del Grosso

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