L’uomo del Mistero
L’uomo del Mistero o, piuttosto, Il mistero dell’Uomo? Già la possibilità di una titolazione reversibile, riguardo la recensione di Fulci for Fake, racconterebbe molto di un documentario sui generis dove, in luogo di una verità svelata, vengono poste al contrario ulteriori domande sul soggetto/oggetto dell’indagine.
Chi è stato allora Lucio Fulci? Simone Scafidi, pur realizzando un’opera in apparenza canonica nella messa in quadro di interviste di persone che lo hanno conosciuto, esattamente come in Zanetti Story – da lui co-diretto e co-sceneggiato assieme a Carlo A. Sigon – si allontana volutamente da qualsiasi certezza precostituita, alla ricerca di un’essenza del personaggio consapevolmente impossibile da rintracciare.
Il pretesto narrativo – un attore che dovrebbe interpretare Fulci in un ipotetico biopic – viene smontato subito da un incipit in cui il bravo Nicola Nocella, interprete ingaggiato per il presunto film, si “smaschera” del trucco del personaggio, peraltro con un effetto ridondante assai simile ai migliori momenti horror fulciani, per divenire una sorta di alter-ego di Scafidi, cioè di un cineasta che pone (e si pone) domande su uno dei suoi autori evidentemente di riferimento. Il risultato è una “sovrapposizione imperfetta” di rara efficacia, un corto circuito totale capace di lasciare nello spettatore un senso di vertigine acuta esattamente come il titolo wellesiano a cui si richiama. La verità si mescola in modo indissolubile al falso, sia all’interno degli stilemi registici scelti da Scafidi sia per quanto riguarda le ormai leggendarie voci (tipo quella che vede Poltergeist di Tobe Hooper ispirato da Quella villa accanto al cimitero di Fulci, secondo la confessione di Steven Spielberg a Fulci stesso!) riguardanti il regista romano, finendo con l’alimentare ulteriormente la curiosa aura da autore “maledetto” ancora tutta in divenire, a distanza di ben ventitre anni dalla scomparsa di Fulci.
Accompagnati per mano nella fruizione dell’opera da un Virgilio d’eccezione, Davide Pulici della rivista Nocturno, la cui visione critica della filmografia fulciana resta soggettiva, ancorché per molti versi condivisibile, Fulci for Fake diventa un viaggio nell’ignoto, un’esplorazione dai toni anche accorati verso la ricerca ultima del Fulci autore e del Fulci uomo. Si scopre allora un’esistenza costellata di eventi tragici, che potrebbe spiegare in parte la sublimazione dell’orrido presente nei suoi horror migliori, tipo Zombie 2 (1979) e L’aldilà (1981). Eppure in precedenza Fulci era stato anche autore di commedie di costume, regista dei film con Franco e Ciccio, musicarelli con Adriano Celentano, film d’avventura classici, opere in costume (“Beatrice Cenci lo considero il mio capolavoro” dichiarò un tempo Fulci in un’intervista) e via dicendo. Com’è possibile, allora, che venga venerato unicamente come maestro di cinema horror e non apprezzato come poliedrico artigiano del nostro cinema a trecentosessanta gradi? Altre domande che non trovano risposta. Sia nelle sue opere che nella vita reale, di ieri e di oggi, che lo circonda.
Un enigma dunque irrisolvibile per tutti, rinforzato dal rapporto a dir poco contraddittorio di Fulci con le donne. Dall’affetto per le due figlie Camilla – purtroppo scomparsa a riprese ultimate: Fulci for Fake è dedicato a lei – e Antonella, manifestato in modo ovviamente molto personale, all’avversione totale nei confronti di quel “sesso debole” che, sui suoi set, secondo Fulci si pavoneggiava della propria bellezza, andando incontro a sfuriate e masochismi di ogni tipo. Ammirazione e frustrazione, ben esplicitate da Scafidi nelle folgoranti apparizioni, in Fulci for Fake, di Martina Troni, eterno femminino con il quale Fulci si è simbolicamente confrontato, forse più da vinto che da vincitore, per l’intera carriera.
Al termine della visione di Fulci for Fake – opera presentata alla Mostra del Cinema di Venezia 2019, nell’ambito della sezione Venezia Classici Documentari – resta allora un senso di totale commozione per aver visto la figura di Fulci ritratta nella propria imperfezione umana, quella che lo avvicina ineluttabilmente a ciascuno di noi. Ma anche di ammirazione incondizionata nei confronti di un genio creativo davvero unico, tra i pochissimi a saper raccontare visivamente – e forse in tal modo esorcizzare in modo definitivo – lo spauracchio della morte in tutta la sua nefanda efferatezza. E soprattutto aggiungendo ad ogni lungometraggio girato una visione personale, un brandello più o meno piccolo di vita a rendere il tutto più sinistramente reale, come accaduto ad esempio nella figura del killer seriale de Lo squartatore di New York (1982). Finzione cinematografica e vita vissuta. Creazione artistica e realtà effettiva. Un processo osmotico di impossibile separazione che Fulci for Fake non si limita a mettere in scena, ma analizza in maniera pressoché assoluta con totale sprezzo di qualsivoglia rischio commerciale. Ma sappiamo bene che a Simone Scafidi il coraggio di andare controcorrente non è mai venuto meno, come ben testimonia la sua filmografia. Anche a costo di affrontare di petto (e restituirci intatto) un “mistero assoluto” come la non conoscibilità di un altro, sfaccettato, essere umano di nome Lucio Fulci. In buona parte sconosciuto, forse, persino a se stesso.
Daniele De Angelis