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(Re)Visioni Clandestine #22: Masterminds – I geni della truffa

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Caper Movie grossolano

«Rubare è un mestiere impegnativo,
ci vuole gente seria, mica come voi!
Voi, al massimo, potete andare a lavorare!»
(Tiberio, ne I soliti ignoti)

Il 4 ottobre del 1997, a Charlotte nella Carolina del Nord, presso la compagnia di sicurezza Loomis, ci fu una delle più grandi rapine d’America. Furono sottratti ben 17,3 milioni di dollari, senza spargimenti di sangue e grandi complicazioni nell’attuare il colpo. Un furto chiaramente serio, ma che già le indagini avevano in seguito rilevato che l’organizzazione fu alquanto grottesca. Una tale rapina era ideale per creare una storia che prendesse una piega comica piuttosto che la classica forma drammatica. Quando nel lontano 2012 si decise di trarne una pellicola, dal titolo Loomis Fargo, come protagonista fu scelto Jim Carrey, ottimo attore versatile nel saper transitare dal serio al demenziale passando per un giusto tocco sentimentale. A causa d’impegni, però, la sua parte passò a Zack Galifianakis, attore completamente diverso da Carrey. Probabilmente ci può essere del rammarico in questo cambio d’interpreti, però se Masterminds (Masterminds – I geni della truffa, 2016) si rivela una pellicola mediocre, non è colpa di Galifianakis, che tutto sommato il suo sporco lavoro di attore comico lo fa, ma del regista Jared Hess, che non ha apportato miglioramenti a una sceneggiatura che preferisce pigiare sulla semplice comicità demenziale.

In Masterminds della storia reale rimangono solo i veri nomi dei protagonisti della vicenda e alcune linee guida. Peccato che Hess non sia riuscito a cogliere gli spunti interessanti che offriva questa storia di perdenti/sognatori della provincia americana. Il regista, che si era rivelato con Napoleon Dynamite (2004), storia di perdenti/sognatori della provincia americana, non applica lo stesso meccanismo comico di quel suo esordio, ma si adagia su quello utilizzato in Nacho Libre (Super Nacho, 2006), che prediligeva una comicità scombinata in supporto del divo Jack Black. Il David Ghantt cinematografico è uno sfigato imbranato, che vive in una casa prefabbricata ed è in procinto di sposarsi con una ragazza vacua. Decide di eseguire il furto non tanto per arricchirsi e migliorare la sua vita, quanto per conquistare la sua bella ex collega Kelly Campbell, dimostrandogli che, benché tozzo, sia capace di affrontare il pericolo. L’antagonista Steve e sua moglie, invece, rappresentano l’aspetto cafone della provincia, spendendo il denaro in costose amenità consumistiche, credendo così di elevare il loro status sociale. Tra l’altro, l’essenza grossolana di Steve si vede anche nel suo profondo desiderio di “apparire” nei telegiornali per essere glorificato per il furto. La sua vanagloria si paleserà nel duello finale con David, in cui orgogliosamente sbraita che era lui la mente di tutta l’organizzazione.

Masterminds, che rientra a pieno titolo nel genere Caper Movie, però parodiandolo, come ad esempio fece, con ottimi risultati I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli, è soltanto un divertissement che si guarda con spensieratezza, ma che alla fine sazia ben poco. Il problema è proprio aver calcato troppo sulla facile risata, volendo a tutti costi creare scene comiche demenziali (i bizzarri travestimenti di Zack Galifianakis, il killer romantico o la resa dei conti finale). Il piglio scelto, cioè colorare di abbondante umorismo una vicenda vera, non è allo stesso livello di Fargo (1996) oppure di Find me Guilty (Prova a incastrarmi, 2006) di Sidney Lumet. Come scritto all’inizio, è vero che Zack Galifianakis regge sulle proprie spalle tutta la pellicola, però sembra di assistere soltanto a un’ennesima variante delle comiche del gruppo Frat Pack, di cui l’attore di origini greche è praticamente entrato a far parte (mentre Owen Wilson ne è una colonna portante).

Roberto Baldassarre

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