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Funny Face

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VOTO: 7.5

Un supereroe senza superpotere

La cosa che non va assolutamente fatta quando ci si trova al cospetto di un film come Funny Face è il cercare ostinatamente di collocarlo in un dato filone, poiché è la natura ibrida e trans-genere che lo porta ad abbracciarne più di uno a definire il suo vero DNA. Del resto, è il regista stesso, quel Tim Sutton che con Dark Night aveva turbato il pubblico della 73esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, ad essere il primo a non saperlo definire geneticamente. Nelle note di regia infatti afferma di essere stato influenzato sia da classici del genere “amanti in fuga” come Gangster Story e La rabbia giovane, raccontando le vicissitudini di due ragazzi emarginati in una città in continuo cambiamento che si addentrano in un’impresa molto più grande di loro, sia da film più recenti e psichedelici, come Requiem for a Dream e Solo gli amanti sopravvivono. E come se non bastasse lo ritiene un noir newyorkese nella tradizione di Taxi Driver, Il cattivo tenente o Ultima fermata Brooklyn, tutti film che usano lo spazio urbano come labirinto, attraversando strade di pericolosa bellezza.
Come dargli torto, anche se alcuni paragoni ci sembrano un tantino azzardati, dato che nella sua ultima fatica dietro la macchina da presa, selezionata alla 70esima Berlinale e al 38° Torino Film Festival, temi e soprattutto stilemi dei suddetti modelli appaiono in maniera piuttosto evidente. Il ché rende Funny Face un road-movie metropolitano magnetico nella messa in scena, sotto la cui superficie scorre persistente una tensione latente pronta a deflagrare sullo schermo da un momento all’altro. Tutto lascia presagire al materializzarsi delle dinamiche classiche del revenge-movie cupo e sanguinario, con il protagonista di turno chiamato a indossare la maschera del giustiziere fai da te per consumare la propria vendetta, ma non sarà così, o almeno lo sarà solo in piccola parte.
La bellezza della pellicola del cineasta statunitense sta proprio in questo riuscire sempre a disattendere le aspettative e i pronostici del fruitore, quanto basta per renderla imprevedibile come la traiettoria non leggibile di una pallina impazzita sparata a tutta velocità in un flipper. Merito di un autore che non vuole omologarsi, capace di intercettare sempre gli stati d’animo del periodo che sta vivendo per poi trasportarlo sullo schermo (tensioni razziali, terrorismo e pregiudizio sono il magma incandescente che si respira nel film). Un autore che sa fagocitare le atmosfere e il modus operandi dei generi di riferimento, per poi stressarli e destrutturarli al fine di ottenere qualcosa di diverso. Senza dimenticare il fatto che in Funny Face riesce a tirare fuori il meglio da un attore di talento come Cosmo Jarvis, spingendolo sino al limite e a quelle corde che sino a quel momento aveva solo sfiorato.

Francesco Del Grosso

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