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Dark Night

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VOTO: 6.5

Notte buia, niente stelle

Si apre con una panoramica sui tetti di una tranquilla cittadina in Colorado il film presentato da Tim Sutton alla 73° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia per la categoria Orizzonti. Si tratta di Aurora, area metropolitana di Denver, contea di Arapahoe. Una giornata assolata, un silenzio surreale ne avvolge le strade. Sarà proprio l’assenza di dialoghi, intervallata dai click dei fucili e delle pistole, a fare da soundtrack principale a Dark Night, terzo lungometraggio del regista già vincitore della prima edizione di Biennale College con il film Memphis (2013).
Alle immagini è affidato tutto fin dai primi frame, quando la cinepresa si ferma immobile sull’iride di una ragazza che sembra assistere incredula ad uno spettacolo. L’occhio che fissa il grande schermo, in verità, è rivolto al vuoto, ai lampeggianti delle ambulanze e della polizia. È l’occhio che indaga e che penetra gli strumenti ancora una volta sul banco degli imputati: la personificazione e l’occultamento identitario. Un rapporto così stretto, quello tra artificio e realtà, che il regista decide di abbandonarlo solo nella forma, rinunciando ai toni documentaristici per affidarsi invece a quelli più intimi delle sensazioni. «I fatti alimentano la finzione e la finzione alimenta i fatti», in un dialogo complesso che Sutton evidenzia dando spessore a personaggi che divengono «maschere, specchi, persone che potrebbero essere accanto a noi anche oggi». A fare da ponte levatoio tra queste due superfici sarà la presenza intermittente di un’intervista vera fatta ad Aaron Purvis e a sua madre, un ragazzo recluso in casa perché accusato di un misterioso reato.
Il regista non sembra quindi aver bisogno delle parole per descrivere con la potenza delle immagini quelli che saranno i momenti precedenti ad uno degli avvenimenti più tragici degli ultimi anni nella storia degli Stati Uniti, quando il ventiquattrenne James Holmes aprì il fuoco dentro ad un multisala in cui veniva proiettata la prima de Il cavaliere oscuro – Il ritorno di Christopher Nolan (titolo originale The Dark Knight Rises). In quel massacro furono uccise 12 persone e altre 58 rimasero ferite.
L’escalation di violenza che monta durante tutta la proiezione e che si annida in un oscuro pomeriggio di sole rigetta dunque al mittente non solo le voci – che divengono quasi accessori, elementi marginali della narrazione – ma anche e soprattutto la bulimia di sangue che lo spettatore attende materializzarsi fuori campo. La tensione risiede al contrario nella quotidianità delle esistenze che convergeranno verso un epilogo noto, dove la pornografia della forma utilizza il conscio per far leva sulle percezioni di chi guarda. Quello mostrato da Sutton è per queste ragioni un cinema che pone diverse sfide allo spettatore, un cinema difficile non solo nel ritmo quanto nei contenuti, un modo per arrivare ad avere così «un’esperienza intima […] da cui lo spettatore riesce a guadagnare qualcosa».
Dark Night rifiuta di essere un film politico, almeno nell’accezione più angusta del termine, pur se ricostruisce fedelmente uno spaccato della società (nord)americana e della sua alienazione, dei suoi paradossi e delle sue bestialità. «Il mio obiettivo non era quello di fare un film politico – conclude il regista durante la conferenza stampa – non sono un esperto di uso violento delle armi né di salute mentale, il mio unico obiettivo è quello di essere un osservatore».

Riccardo Scano

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