Una ‘sospensione’ può creare dialogo?
Per molti l’ultimo lungometraggio di Leonardo Di Costanzo avrebbe meritato di essere presentato in una sezione competitiva e non Fuori Concorso alla 78esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Non vogliamo addentrarci in queste scelte dei selezionatori e del direttore artistico, ciò che ci trova in sintonia è che fosse giusto che Ariaferma venisse presentato alla Mostra e per fortuna sta avendo l’opportunità di uscire in un momento in cui le sale cinematografiche hanno riaperto e sono con la capienza al 100% (alla luce di questo dato, ci permettiamo di suggerirvi di andare in sala, anche perché durante la visione si avverte il valore del grande schermo, merito dell’ottimo lavoro di fotografia di Luca Bigazzi, in stretta connessione con la scenografia di Luca Servino).
Dopo un incipit in cui viene rievocata l’infanzia, l’andare a caccia e il ritrovarsi intorno al fuoco tra le montagne; subito dopo siamo all’interno di un vecchio carcere ottocentesco, situato in una zona impervia e imprecisata del territorio italiano. Sulla carta è in dismissione, tant’è che assistiamo al saluto della direttrice; ma per questioni burocratiche i trasferimenti si bloccano e una dozzina di detenuti devono attendere lì le nuove destinazioni. Tocca a pochi agenti occuparsi di loro: c’è chi si approccia a questo come se fosse un ulteriore ‘castigo’, chi con un forte senso del dovere – e altro che scoprirà col tempo – come Gaetano Gargiulo (un Toni Servillo perfettamente in parte) a cui viene affidato il comando. La convivenza tra le due parti necessita la creazione di un nuovo equilibrio, il filo è sottile e l’insofferenza può nascondersi – essendo esseri umani – anche in chi dovrebbe controllare. «Non riuscite ad ammettere di avere gli stessi sentimenti di un detenuto», asserisce con ironia e provocazione Carmine Lagioia (un ottimo Silvio Orlando).
«Il carcere di Mortana nella realtà non esiste: è un luogo immaginario, costruito dopo aver visitato molte carceri», ha tenuto a precisare Di Costanzo (co-sceneggiatore insieme a Valia Santella e Bruno Olivero), continuando «Quasi ovunque abbiamo trovato grande disponibilità a parlare, a raccontarsi; è capitato che gli incontri coinvolgessero insieme agenti, direzione e qualche detenuto. Allora era facile che si creasse uno strano clima di convivialità, facevano quasi a gara nel raccontare storie. Si rideva anche. Poi, quando il convivio finiva, tutti rientravano nei loro ruoli e gli uomini in divisa, chiavi in mano, riaccompagnavano nelle celle gli altri, i detenuti. Di fronte a questo drastico ritorno alla realtà, noi esterni avvertivamo spaesamento. E proprio questo senso di spaesamento ha guidato la realizzazione del film: Ariaferma non è un film sulle condizioni delle carceri italiane. È forse un film sull’assurdità del carcere».
Il regista de L’intervallo ha già manifestato, non solo nelle sue opere documentaristiche, ma anche in quelle di fiction, quanto lo spazio fosse essenziale all’interno della relazione (o ‘esclusione’ se pensiamo a L’intrusa) tra gli individui. Forte dei suoi studi etno-antropologici e di uno sguardo che sa andare in profondità, con Ariaferma evidenzia i pregiudizi e rilancia tantissime domande, attraverso l’ambientazione in uno spazio chiuso come il carcere, dove la separazione tra chi controlla e chi è dietro le sbarre, dovrebbe essere ‘tutelata’ dai cancelli di cui hanno le chiavi solo i secondini o, ancora, dalle finestrelle. A tratti – in particolare all’inizio – si avverte una grande paura tra le due parti, come se l’essere in numero ridotto degli agenti faccia serpeggiare il timore di perdere il controllo.
Ma cosa comporterebbe se ciò accadesse volontariamente?
Va specificato che Ariaferma è stato scritto avendo a mente due grandi attori come, appunto, Servillo e Orlando. I dialoghi così come i silenzi e gli sguardi tra i due sono molto significativi – e sarebbero una delle ragioni perché vale la pena vedere l’ultimo lavoro di Di Costanzo. Non vogliamo rivelarvi troppo proprio perché il lavoro è costruito su linee relazionali, che vanno scoperte all’interno del luogo che, come spesso accade nei suoi lavori, è co-protagonista.
«Il film è stato girato a Sassari, tra due ‘bolle’: la gabbia del carcere e il lockdown che ci chiudeva ogni sera, tutti insieme, in un hotel. Ed è stato importante per noi partecipare a questa cattività. Così lavorare con i nostri autori e le nostre autrici è sempre per noi un insegnamento. Perché Ariaferma è ancora una volta, come ci preme, un film civile. Un carcere, che potrebbe essere ovunque in Italia o nel mondo, una situazione bloccata che congela tutto in un’attesa dove ogni gesto, anche piccolo, diventa una riflessione sulla colpa, sulla pena, sullo scandalo della prigionia. Dal minimo all’universale, come in tutti i lavori di Leonardo Di Costanzo» (dalle note della produzione tempesta, fondata da Carlo Cresto-Dina).
«Sembriamo morti e seppelliti, vivi però».
Maria Lucia Tangorra