Confini
«Succede che gli uccelli che vivono in gabbia, anche se gli apri la porta non fuggono. […] Mio padre mi ha spiegato che tra gli uccelli piccoli il pettirosso è quello più coraggioso, non ha paura di niente». Assistendo a L’intrusa di Leonardo Di Costanzo, tornano in mente queste parole di Salvatore, il co-protagonista del suo precedente film, L’intervallo (opera prima). Giovanna (una Raffaella Giordano dai lineamenti ruvidi, gli occhi parlanti e ferma e intensa nell’interpretazione) è un po’ come quel pettirosso di sopra, forse qualche paura inconscia ce l’ha, ma ha coraggio da vendere. Se non fosse così, molto probabilmente non sarebbe riuscita a fondare il centro “la Masseria” a Napoli, un luogo che si propone come isola felice rispetto al degrado e alla mafia che imperversano intorno. «Noi non facciamo differenze tra di loro, questo è un posto per i bambini, per tutti i bambini» afferma perentoriamente la donna. Il punto è che quel noi e questa regola non detta, ma di civiltà, si disgrega quando arriva l’intrusa (di qui il titolo). Alla Masseria cerca rifugio, coi suoi due figli, Maria (Valentina Vannino), giovanissima moglie di un camorrista arrestato per un efferato omicidio. Questo “elemento” esterno rompe l’equilibrio creatosi all’interno, destabilizzando, in particolare, gli adulti perché rappresenta tutto quello da cui le madri dei bambini che frequentano il centro stanno cercando di proteggerli. Vengono così messi in campo diversi punti nodali della nostra società e dell’esser uomini, il tutto a partire da domande che si pone la protagonista, rilanciandole a ciascuno. Va protetta questa donna che paga, di riflesso, ciò che è il marito o va tutelata quell’isola felice? A tratti sembra che l’intrusa sia Giovanna e la sceneggiatura (stilata con Maurizio Braucci) gioca un po’ con questa percezione, facendo toccare con mano una situazione quantomai verosimile, rifuggendo dalla semplicistica retorica. Ogni inquadratura risente (positivamente) del background documentaristico di Di Costanzo, abile nel far trasparire uno sguardo sensibile, catturando la realtà, senza oltrepassare mai i confini sia delle storie vere che ha raccontato che di quelle di fiction, ma ben connessa con l’attualità.
«L’intrusa non è un film sulla camorra; è un film su chi ci convive, su chi giorno per giorno cerca di rubargli terreno, persone, consenso sociale, senza essere né giudice né poliziotto. Ma è anche una storia su quel difficile equilibrio da trovare tra paura e accoglienza tra tolleranza e fermezza. L’altro, l’estraneo al gruppo, percepito come un pericolo è, mi sembra, un tema dei tempi che viviamo», ha dichiarato il regista ischitano. Effettivamente, sempre più in questo momento, bisognerebbe interrogarsi sull’altro e questo lungometraggio è un esempio di assunzione di responsabilità – senza voler dare risposte – da parte di chi vive la Settima Arte in un preciso modo, inducendo a riflettere anche sul senso di civiltà, oltre che civico.
Dopo esser stato presentato alla Quinzaine des réalisateurs del Festival di Cannes 2017, L’intrusa è distribuito nelle sale da Cinema di Valerio De Paolis.
Maria Lucia Tangorra