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Open Arms – La legge del mare

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VOTO: 5.5

Alle origini di Open Arms

Ci sono pellicole che, sebbene non riescano a soddisfare pienamente a livello artistico, almeno riescono ad assolvere il compito di fornire utili informazioni. Si potrebbero definire come delle pellicole passepartout, atte ad accedere facilmente, attraverso una (ri)narrazione in formato fiction, a dei fatti o notizie poco note; e in questo caso la cinematografia è ricolma di opere e/o prodotti similari, che in maniera disuguale hanno somministrato pillole storiche. Open Arms – La legge del mare (Mediterráneo, 2021) di Marcel Barrena, presentato alla Festa del Cinema di Roma 2021, ripropone come nacque la ONG Open Arms, certamente la più nota organizzazione no profit che si occupa, dal 2015, del soccorso in mare degli emigranti. Una sigla divenuta ormai famosa quanto quella di Greenpeace, ma che appunto molti spettatori non conoscono come fu costituita e, soprattutto, chi furono le persone che si rimboccarono per prime le maniche. Una vicenda che ha molti risvolti umanitari, e per tanto perfetta per farci un film.

Il primo che si mosse, scosso dalla vista della foto shock del piccolo bambino siriano Alan Kurdi, morto annegato e rinvenuto sulla spiaggia di Lesbo nel 2015, fu Òscar Camps, un semplice – ma coriaceo – bagnino di Badalona (Spagna). E il nome di Camps compare anche nei crediti della sceneggiatura, assieme ai nomi del regista Barrena e di quello di Danielle Schleif (più nota come produttrice di pellicole di consumo). La collaborazione di Camps alla scrittura del copione probabilmente è stata solo a livello di dettato, ovvero mettere a disposizione degli altri due screenwriters di quanto accadde in quel lontano 2015, ma certamente mette anche in luce come la pellicola segua una direttrice espositiva abbastanza soggettiva, senza un minimo di distacco necessario per oggettivare la storia. In un certo qual modo, prima di essere una pellicola su Open Arms, sembra maggiormente un “biopic” su Camps (la scena notturna di lui che sfotte i tre greci ubriachi corrotti, era evitabile). In Mediterráneo, in cui le vere immagini dei protagonisti e dei salvataggi appaiono soltanto durante i titoli di coda, si alternano sequenze in cui si mostra l’intimità dei protagonisti eroi (usualmente seduti intorno a un tavolo discorrendo di fatti seri o scherzando) a quelle in cui si vuol far percepire la tragicità dei salvataggi e la sofferenza dei naufraghi (oltre allo sfacelo dei campi di aiuto). A ciò si aggiungono alcune scene in cui si vede la corruzione della polizia greca, oppure l’ostracismo dei cittadini (ma fortunatamente non tutti i greci sono razzisti). In ogni modo, la storia ha anche un piglio ironico, e Camps ha sfumature beffarde. Il difetto maggiore della pellicola, ribadendo che comunque ha una sua funzione informativa, è quel calcare troppo sulle scene a effetto, corroborate da un commento musicale eccessivo: dietro quella patina di riprese in stile documentaristico (la riproposizione dei difficoltosi salvataggi) c’è una pretesa lacrimevole (la madre che ritrova la figlia), che culmina nella scena in cui i pescatori greci, alla fine mossi dalla sforzo di Camps e compagni, corrono a soccorrere i naufraghi (momento vero, accaduto nell’ottobre 2015, ma girato in maniera troppo fasulla). Il punto forte di Mediterráneo rimane il cast di attori, nel quale spicca Eduard Fernández nelle vesti di Camps. Attore versatile, come si evince dalla sua corposa filmografia, riesce a essere credibile come Camps cinematografico.

Roberto Baldassarre

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