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Spider in the Web

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VOTO: 4.5

La preda è in trappola

Ispirato a fatti realmente accaduti. Si apre con questa didascalia Spider in the Web, l’ultima fatica dietro la macchina da presa di Eran Riklis, presentata nella sezione “Festa Mobile” della 37esima edizione del Torino Film Festival in vista di una futura uscita nelle sale nostrane. Punto di partenza, quello di una verità storica, che pur romanzata per esigenze dettate dalla narrazione cinematografica rappresenta una costante nel cinema del cineasta israeliano. In tal senso, precedenti come Finale di coppa, La sposa siriana o Il giardino di limoni lo testimoniano e lo certificano.
Anche Spider in the Web diventa l’occasione per Riklis per esplorare nuovamente le menti e gli animi delle persone in momenti di estrema pressione, di decisione e di crisi. Per farlo si misura con una vicenda dove gli elementi del thriller classico incontrano e si miscelano proprio con tematiche chiave del suo cinema: la scoperta di sé, l’identità e la sua perdita, il riflesso dei valori universali nelle storie locali. E non a caso il film chiama in causa accadimenti che hanno a che vedere con il suddette tematiche, incastonate in un contesto geo-politico che come dichiara il titolo si materializza sullo schermo sotto forma di una fitta, ma narrativamente ingarbugliata, tela di menzogne e raggiri che l’agente segreto e veterano del Mossad, Adereth, proverà a sbrogliare. La scoperta della corruzione nella produzione delle armi chimiche siriane e di uno sconvolgente sequestro, lo conducono verso un’ultima missione. Con l’aiuto di Daniel, il suo complice, Adereth è alla ricerca di risposte e presto si trova coinvolto in una relazione con Angela. Con la comparsa della misteriosa donna e il progressivo incrinarsi della fiducia verso i propri superiori, Adereth realizza che, in un mondo di specchi e inganni, il cacciatore può trasformarsi nella preda.
Spider in the Web è una spy-story old style che viste le premesse e la materia prima in suo possesso avrebbe potuto scaraventare il fruitore di turno in una ragnatela coinvolgente e dai continui capovolgimenti di fronte. Purtroppo per lui e per Riklis ciò non si verifica con entrambe le componenti che vengono inspiegabilmente meno per cedere il testimone a un’architettura farraginosa e piatta in termini di suspense. Persino lo showdown lascia completamente indifferenti, in primis a causa dell’altissimo grado di prevedibilità di un epilogo per cui l’effetto sorpresa è un miraggio in lontananza. Se non fosse per qualche accelerata qua e là nella timeline, come ad esempio l’inseguimento automobilistico tra le strade di Anversa con finale balistico, ci troveremmo al cospetto di un tracciato piatto che non registra nessuna attività cardiaca.
Da un autore di questa caratura come Riklis era dunque lecito aspettarsi e pretendere molto di più, a maggior ragione se al suo servizio c’era una storia dalle radici piantate nel vero e un attore del calibro di Ben Kingsley come protagonista. Quest’ultimo fa quello che può, provando ad alzare l’asticella dell’interpretazione e delle singole scene quando le debolezze strutturali della scrittura e i compagni di set glielo consentono, a cominciare da una Monica Bellucci alle prese con l’ennesima scialba versione fotocopia di femme fatale della sua carriera Ma nonostante gli sforzi il risultato resta ancorato ben al di sotto della soglia della sufficienza, con i margini di miglioramento ridotti ai minimi storici. L’attore britannico è di quelli capaci di risollevare le sorti di un film, caricandoselo sulle spalle come nel caso di An Ordinary Man, dove il suo apporto è stato pressoché determinante ai fini della riuscita della pellicola di Brad Silberling. Diversamente qui non accade, tanto che finisce con l’essere dopo il film stesso e il pubblico, la prima vittima sacrificale di un’operazione che non avremo e non avrete particolari difficoltà e sensi di colpa nel dimenticare presto.

Francesco Del Grosso

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