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Smetto quando voglio – Ad honorem

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VOTO: 7.5

Le ultime 72 ore

Quando si scrive la parola fine a una saga, indipendentemente dalla sua riuscita oppure no e da quanti consensi i capitoli che la vanno a comporre abbiano raccolto con le rispettive uscite, c’è sempre un po’ di dispiacere. Nel caso della fortunata trilogia di Smetto quando voglio, adesso che anche l’ultimo atto è andato in scena con la distribuzione nelle sale il 30 novembre (con un’anteprima di prestigio nella sezione Festa Mobile della 35esima edizione del Torino Film Festival) di Smetto quando voglio – Ad honorem), dobbiamo ammettere che al dispiacere si è andata a mescolare anche una buona dose di nostalgia. Si perché nei confronti della saga scritta e diretta da Sydney Sibilia, ora che su di essa è calato il sipario (a meno di futuri ripensamenti del suo autore o dei produttori, con eventuali spin-off, prequel, nuovi sequel, reboot o serie televisiva), c’è stato sin dall’inizio un affetto smisurato, dovuto a un vero e proprio colpo di fulmine, la cui freccia trafisse il nostro cuore all’epoca del battesimo nel 2014 di quella che nel corso degli anni sarebbe diventata una trilogia originale e fuori dagli schemi produttivi nostrani.
Tecnicamente Smetto quando voglio – Ad honorem è il sequel di Smetto quando voglio – Masterclass, uscito nello stesso anno e, a sua volta, prequel di Smetto quando voglio, in quanto le vicende narrate si svolgono prima della scena finale del primo capitolo. È passato un anno da quando la banda di cervelloni incompresi capitanata dal neurobiologo Pietro Zinni, è stata colta in flagranza di reato nel laboratorio di produzione Sopox e ognuno dei suoi componenti rinchiuso in un carcere diverso. Da Regina Coeli Pietro continua ad avvertire le autorità che un pazzo di nome Walter Mercurio ha sintetizzato gas nervino ed è pronto a compiere una strage, ma nessuno lo prende sul serio. Impegnata a chiudere i conti col passato e a sventare l’atto terroristico, la gang di ricercatori è costretta a chiedere aiuto al nemico di sempre: il boss malavitoso con una laurea in ingegneria navale, “Er Murena”. Il cerchio finalmente si chiude e tutto torna, ma il compito di vedere come andrà a finire tocca di diritto alla sala.
Il regista salernitano tinge questo ultimo atto con colori decisamente più dark il registro drammaturgico rispetto ai precedenti e con quelli acidi di sempre la fotografia. In quanto capitolo conclusivo di una trilogia deve svolgere di default il compito solitamente ad esso assegnato, ossia quello fare quadrare i conti. Se Smetto quando voglio – Masterclass è stato di fatto e per necessità un episodio di transizione che riapriva le ostilità (il primo capitolo ha, infatti, una sua completezza, perché all’epoca della produzione non era ancora stata contemplata l’ipotesi di un proseguimento), a Smetto quando voglio – Ad honorem tocca invece la responsabilità non facile di dare delle risposte. Queste puntualmente a giochi fatti arrivano, ma oltre ad avere assolto in maniera ottimale il compito, la pellicola e chi l’ha concepita si prendono il giusto spazio per regalare alle platee di turno anche il solito mix di azione e comicità strabordante, da sempre ingredienti della ricetta portata sul grande schermo da Sibilia e dai suo compagni di scrittura per dare forma e sostanza al racconto.
Sul fronte action e citazionista, messe da parte la riuscitissima scena dell’assalto alla diligenza con la quale si chiudeva il secondo capitolo e quella dello spettacolare inseguimento nei ruderi romani, nel terzo c’è spazio per la cinetica con la pirotecnica evasione dal carcere della gang e per la lotta contro il tempo dell’epilogo. Il tutto condito ovviamente con l’altra componente basica della formula, ossia lo humour. Anche qui non manca e gag come quella delle docce di Rebibbia o del laboratorio della Sapienza dove viene conservato il cadavere pieno di gas difficilmente riusciremo a dimenticarcele. E poi c’è la linea drammatica, qui più consistente rispetto a quelle presenti nei precedenti episodi, perché oltre ad affrontare nuovamente i temi della crisi della ricerca e della fuga dei cervelli, Smetto quando voglio – Ad honorem ci porta alla scoperta della tragedia umana che ha colpito gli antagonisti, che li ha segnati profondamente.
Insomma, questa volta c’è molta più carne al fuoco con la quale fare i conti, la stessa travolgente comicità per stemperare le pieghe ancora più drammatiche prese dalla storia, ma anche quella buona dose di azione che non guasta mai. Cara banda dei ricercatori, ora possiamo dirvelo: ci mancherete.

Francesco Del Grosso

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