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Beast

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VOTO: 7.5

Attrazione fatale

Quella di Beast è stata senza ombra di dubbio una delle visioni che maggiormente ha lasciato il segno tra quelle offerte dal concorso lungometraggi della 35esima edizione del Torino Film Festival. Se non fosse stato per l’accumulo ingiustificato di finali che ne mette in discussione la piena riuscita, molto probabilmente la pellicola d’esordio di Michael Pearce avrebbe strappato un gradino ancora più alto sul nostro podio della competizione della kermesse piemontese, dove è approdata a qualche mese di distanza dalle apparizioni ai Festival di Toronto e Londra. Tale défaillance lascia un po’ di amaro in bocca, ma non cancella tutta una serie di meriti che l’opera prima del cineasta britannico ha saputo raccogliere sul campo. Le debolezze riscontrate nell’ultimo quarto d’ora di timeline le attribuiamo a un errore di inesperienza sulla lunga distanza e alla voglia di sorprendere lo spettatore, tipico di molti esordienti. Ciononostante, Beast resta a nostro avviso un’opera prima di altissimo livello, ben al di sopra della media alla quale il Vecchio Continente ci ha abituato negli ultimi decenni. La capacità della scrittura di alternare i generi, passando dal dramma esistenziale al crime e al thriller psicologico, il disegno accurato dei personaggi e delle rispettive evoluzioni nell’arco del racconto, oltre all’attenzione rivolta costantemente al realismo e alla credibilità dei fatti narrati, stratificano e fortificano le pagine dello script, eccetto quelle finali che, come abbiamo accennato in precedenza, perdono parte delle suddette peculiarità.
La pellicola di porta al seguito di Moll, una ragazza che vive sull’isola di Jersey, nel canale della Manica. Nonostante abbia ventisette anni, abita ancora con i genitori: a bloccarla la piccola comunità, piuttosto opprimente, che la circonda e il legame morboso con il vecchio padre e la madre rigidissima. A cambiare tutto l’incontro con Pascal, uno straniero di cui si sa poco o nulla ma che la conquista con i suoi modi da spirito libero. Moll, perdutamente innamorata, va a convivere con lui e inizia una nuova vita. Ma la felicità dura poco: Pascal è accusato di essere il responsabile di alcuni efferati omicidi. La ragazza, nonostante l’ostilità e le pressioni degli abitanti del luogo, rimane al fianco dell’uomo. Una scelta di cui pagherà le conseguenze.
Quella raccontata in Beast è una storia che chiama in causa una serie di tematiche impegnative e non semplici di affrontare, a maggior ragione se riversate insieme su un’unica timeline. Ma Pearce dimostra di avere la maturità necessaria a controllarle e non permettere che una volta condensate generino un cortocircuito drammaturgico. Il regista inglese non sembra mai intimorito dal loro peso specifico, tant’è che le tratta con la medesima cura: c’è il romanzo di formazione e deformazione (a seconda dalle fasi del racconto), il conflitto generazionale (il rapporto difficile tra Moll e sua madre) e quello sociale (la differenza del ceto d’appartenenza che separa Moll e la sua famiglia da Pascal), ma anche il perdono e lo scontro tra le ragioni del cuore e quelle biologiche. Ne viene fuori un’opera densa e stratificata, ma soprattutto intensa. Intensità che viene dalla potentissima e coinvolgente interpretazione di Jessie Buckley, un’attrice dal talento cristallino da tenere seriamente sott’occhio perché capace di toccare corde difficili da raggiungere.

Francesco Del Grosso

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