Chi ha paura dell’uomo nero?
Abituati come siamo a gestire narrazioni orrorifiche e soprassalti emotivi di ogni genere, non dovrebbe certo sorprenderci un film convenzionale come Safe Neighborood, presentato al Torino Film Festival 2016 nella sezione After Hours.
Eppure nell’opera seconda dello statunitense Chris Peckover, all’apparenza un classico horror d’assedio che ripesca tutti i luoghi comuni e le suggestioni del genere – dal tipico sobborgo residenziale alla babysitter in pericolo, dai film adolescenziali all’atmosfera natalizia, passando per pellicole come Scream, Black Christmas, The Stranger e chi più ne ha più ne metta – pare esserci qualcosa a cui non siamo ancora abituati, come se avessimo, fino a qui, sottovalutato l’enorme portata degli stravolgimenti prospettici e dei colpi di scena.
É all’insegna del ribaltamento che si gioca infatti tutta la forza di un prodotto di intrattenimento come Safe Neighborood, al quale basta un semplice espediente narrativo per attestarsi decisamente al di sopra della (bassa) media del genere.
Certo, a operazioni simili avrebbero già dovuto prepararci, a loro modo, film come il sottovalutato The Visit di M. Night Shyamalan (i cui giovani protagonisti tornano nella pellicola di Peckover), o come il recentissimo home invasion ribaltato Man in The Dark di Fede Alvarez. Eppure persino Safe Neighborood, nella sua semplicità, riesce a sorprenderci, a orchestrare la sua trappola con abilità e competenza.
Qualcuno si è davvero introdotto nella casa dei Lerner mentre Ashley, la babysitter, è impegnata a badare al loro iperattivo figlio tredicenne Luke (come se non bastasse innamorato di lei e ben determinato a strapparle un bacio se non, addirittura, ad “arrivare in seconda base”)? O forse è tutto uno scherzo ordito dalla mente diabolica e insospettabile di qualche psicopatico?
Senza cadere nel facile rischio degli spoiler – soprattutto in un film il cui principale merito è proprio quello di saper giostrare previsioni e aspettative – si potrebbe dire che Safe Neighborhood è la dimostrazione che si può ancora fare del buon intrattenimento usando, sì, del materiale abusato, ma senza quel bisogno spasmodico di parodizzarlo ad ogni costo.
Mettendo la sua idea al servizio di un buon mestiere, di una buona capacità nel dosare i ritmi e mantenere alta l’attenzione fino alla fine, Peckover mette in scena un piccolo thriller domestico che, senza eccessive derive splatter né shock orrorifici, cattura il suo pubblico garantendo la riuscita di un’operazione tanto ludica quanto gustosamente inquietante.
Mattia Caruso