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I figli della notte

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VOTO: 6

Cavie

Ad Andrea De Sica con il suo esordio sulla lunga distanza dal titolo I figli della notte è toccato il compito di rappresentare la cinematografia nostrana nel concorso della 34esima edizione del Torino Film Festival. La sua opera prima, co-prodotta da Vivo Film e Rai Cinema, è stata infatti l’unica pellicola battente bandiera tricolore selezionata nella principale sezione competitiva della kermesse piemontese. E pensare che nella scorsa edizione se ne contarono addirittura quattro. Ma questo non vuole dire assolutamente nulla, perché è sempre una questione di annate o di scelte ben precise operate dai selezionatori di turno. Fatto sta che il film del nipote del grande Vittorio e figlio di Manuel ha avuto la sua prima apparizione pubblica sugli schermi torinesi, in attesa di salire sul vero banco di prova, ossia quello del circuito ufficiale.
Cominciamo con il dire che non abbiamo nessuna intenzione di tirare in ballo questioni legate al peso che può o non può avere l’eredità artistica lasciata dall’illustre predecessore. Da questo punto di vista, la responsabilità è grande e l’eredità in questione altrettanto, di quelle che possono schiacciarti, facendoti desistere dall’idea di provare a intraprendere il mestiere dietro la macchina da presa. Lasciamo stare poi tutte le varie dicerie su presunti favoritismi e percorsi agevolati, che il pensiero comune tende ad attribuire a questo o all’altro figlio di. In tal senso, non ci nascondiamo dall’averlo pensato a proposito di certi figli d’arte che si sono cimentati negli anni con la regia cinematografica, ma non utilizzeremo questo spazio per manifestare la nostra sofferenza e irritazione sull’argomento. Per cui, vi risparmieremo qualsiasi tipo di polemica, malizia o piagnisteo a riguardo, per concentrarci unicamente sull’analisi critica del film del cineasta capitolino, perché ciò che De Sica  ha portato sullo schermo merita attenzione, al di là degli esiti che, come vedremo, non ci hanno convinto pienamente. Tuttavia abbiamo deciso di non bocciare l’opera poiché, nonostante i limiti riscontrabili e le debolezze strutturali e drammaturgiche presenti  nello script, la visione degli 85’ de I figli della notte ha messo in evidenza un certo potenziale, purtroppo espresso solo in minima parte. In tal senso, la fruzione è bastata a convincere noi e se stesso che può tranquillamente camminare con le proprie gambe nel panorama cinematografico italiano, come del resto aveva già dimostrato di potere fare con le precedenti prove nel documentario e nel cortometraggio.
Da un punto di vista tecnico e stilistico, il regista capitolino non ha mancato l’occasione per mettere bene in evidenza la maturità raggiunta dietro la macchina da presa, che traspare dal gusto e dall’efficacia della messa in quadro. La qualità della confezione (compresa quella fotografia) e della regia, le scelte dei brani che vanno a comporre l’ottima colonna sonora, permettono all’operazione di arrivare alla soglia della sufficienza, ma non a oltrepassarla completamente. Al contrario la scrittura è ancora acerba e incerta. Ed è proprio lì che va ricercato il tallone Achille di un’opera che non brilla nemmeno per originalità del soggetto, con un plot che ricorda tanto altro mescolato insieme: da The Ward a Four Kings, con un pizzico de L’attimo fuggente che non guasta mai e qualche reminiscenza dalla trasposizione de L’educazione fisica delle fanciulle firmata da John Irvin. La lettura della sinossi ce lo conferma.
Giulio è un diciassettenne di buona famiglia che viene spedito in collegio. In quel luogo isolato sulle Alpi, in cui vigono regole ferree che limitano ogni tipo di contatto con l’esterno, fa amicizia con il bislacco Edoardo. A cementare il loro rapporto le frequenti fughe notturne, allor quando la vigilanza sugli studenti sembra allentarsi. Iniziano così a frequentare un nightclub, nascosto tra i boschi, che diviene per i due un rifugio. Qui conoscono Elena, una prostituta, a cui presto si legano. Improvvisa la scoperta: le trasgressioni che tengono nascoste a tutti in realtà fanno parte del programma formativo della scuola. Eppure ci dovrà essere un modo per essere davvero liberi…
Ne I figli della notte si assiste più che altro a un collage di suggestioni e citazioni, che consentono al racconto di prendere forma, ma non ai personaggi e alle dinamiche interne a ottenere la sostanza e la consistenza necessarie a supportarlo adeguatamente. La linea mistery è fragile e smarrisce spesso la strada, ritrovando la bussola solo in prossimità della chiusura del cerchio, ossia quando le verità iniziano a venire rapidamente a galla. Ma è troppo tardi e insufficiente a risollevare le sorti di un film che soffre anche le scelte non azzeccate operate in fase di casting. Se da una parte risulta apprezzabile il coraggio di puntare su volti nuovi, dall’altra forse l’assenza di qualche interprete di peso e di maggiore esperienza avrebbe quantomeno aiutato a rendere più credibili ed efficaci i dialoghi e certi passaggi. Peccato perchè la materia prima per portare sul grande schermo un thriller sospeso e ansiogeno, carico anche di temi complessi e delicati come il confronto generazionale, la crescita e l’assenza degli affetti familiari, c’era tutta.

Francesco Del Grosso

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