Franz Kafka lo aveva previsto
Cineasta eclettico come pochi (solo nel 2018, oltre al presente documentario, ha realizzato Victory Day – inserito nella sezione Forum alla 68° Berlinale – e il lungometraggio a soggetto Donbass – film d’apertura della sezione Un Certain Regard del 71° Festival di Cannes), l’ucraino Sergei Loznitsa è praticamente di casa al Lido di Venezia. Fuori Concorso alla 75° Mostra d’Arte Cinematografica, infatti, il celebre documentarista ha raccontato un altro importante capitolo della storia dell’URRS dando vita al documentario Process.
Ci troviamo a Mosca, nel 1930, in piena dittatura staliniana. Un gruppo di economisti e di ingegneri di alto livello viene processato – all’interno della Sala delle Colonne nella Casa dei Sindacati – con l’accusa di aver organizzato un colpo di stato contro il governo sovietico, probabilmente in accordo con il primo ministro francese Raymond Poincaré. L’organizzazione a cui, secondo le accuse, essi farebbero capo, tuttavia, non esiste né è mai esistita. Gli accusati sono, in realtà, costretti a confessare crimini che non hanno mai commesso.
Al fine di testimoniare tale importante evento dagli echi pericolosamente kafkiani, Loznitsa ha effettuato una ricerca lunga ben due anni, ritrovando tutti i filmati di repertorio che testimoniano il sopracitato processo. Un lavoro attento e minuzioso che, come di consueto all’interno della filmografia del cineasta, ci mostra la realtà, o meglio, la Storia così com’è, senza manipolazione alcuna, ma limitandosi – in questo caso – soltanto ad aggiungere qualche didascalia esplicativa e dissolvendo al nero i diversi momenti del processo stesso, in modo da sottolineare la drammaticità dell’evento. Ed ecco che, ancora una volta, il cinema di Loznitsa, così essenziale, così apparentemente semplice, è riuscito a cogliere nel segno, rendendoci partecipi di un’altra delle molte brutalità della dittatura staliniana.
Sono preziosi documenti storici – oltre a essere anche raffinate opere d’arte – i lavori di Sergei Loznitsa. Uno stile che gioca di sottrazione, il suo. Al punto da farci considerare i suoi prodotti quasi come dei quadri, più che dei documentari: quadri che ci mostrano la storia così com’è accaduta, in cui la mano autoriale è pressoché invisibile, ma, in realtà, molto più consapevole – e decisiva – di quanto inizialmente possa sembrare. È stato così per veri e propri gioielli come Portrait (2002), Factory (2004), ma anche The Event (anch’esso presente Fuori Concorso a Venezia nel 2015), Austerlitz (2016) e molti altri ancora, giusto per fare qualche esempio. Ed è così anche per questo prezioso Process. Affreschi mostrantici avvenimenti storici che grande importanza hanno avuto nei decenni scorsi, ma anche ritratti – a volte amorevoli, altre volte impietosi – di ciò che è diventata la società oggi.
Prese tutte insieme, le opere del cineasta ucraino possono quasi essere considerate come un vero e proprio manuale di storia e di antropologia. Un manuale raccontato per immagini in modo del tutto personale e per nulla didascalico o accademico. Quando cinema e storia si incontrano, dunque, possono nascere cose assai interessanti. Basta che ci sia un buon occhio registico.
Marina Pavido