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Victory Day

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VOTO: 8

Il tempo è memoria

Treptower Park, Berlino. Qui è presente il più grande monumento celebrativo dell’Unione Sovietica. Ogni anno, precisamente il 9 di maggio, numerosi cittadini provenienti dai paesi dell’ex Unione Sovietica, ma residenti a Berlino, si riuniscono all’interno del suddetto parco per celebrare l’anniversario della vittoria dell’Armata Rossa sulle truppe naziste. Tale suggestiva e sentita ricorrenza è stata attentamente osservata e filmata dal celebre cineasta ucraino Sergei Loznitsa, il quale ha successivamente realizzato il documentario Victory Day, presentato in anteprima alla 68° edizione del Festival di Berlino, all’interno della sezione Forum.
Prime luci dell’alba: un carrettino addobbato con dei fiori e con una grande immagine di Stalin al proprio interno viene trainato davanti al monumento commemorativo da due cagnolini. Pian piano, il parco inizia ad affollarsi, anziani, bambini e, comunque, persone di tutte le età si incontrano e, con il loro fare allegro e chiassoso, attirano anche un gran numero di turisti. Ed ecco che, fin dalle prime ore del mattino, prendono il via canti, balli popolari e variopinte coreografie con uomini e donne in abiti tradizionali. La macchina da presa di Loznitsa ci documenta fedelmente un’intera giornata di festa – dalla mattina fino alla sera – mostrandoci in che modo la Storia viene al giorno d’oggi ricordata.
Abbandonando per un attimo il tanto amato bianco e nero, questa volta il cineasta ucraino ci mostra la realtà senza filtro alcuno e – vicino quanto basta a ciò che ci racconta, ma mai invasivo – con una macchina da presa che sa sempre trovare l’angolazione giusta per riprendere porzioni di realtà, mette in scena con uno sguardo affettuoso ed anche una giusta dose di ironia la commedia umana dei giorni nostri.
Interessante assistere alle innumerevoli interazioni che avvengono davanti all’obiettivo. Particolarmente notevole, a tal proposito, il litigio tra un tedesco ed un russo riguardanti diversità di opinioni circa quanto è accaduto durante la Seconda Guerra Mondiale. Segno che, forse, di conoscenza e memoria storica non c’è n’è mai abbastanza. Segno che, malgrado la forte risonanza che un evento come il sopracitato conflitto bellico ha avuto, ancora sono in tanti, in troppi a non aver bene compreso l’entità del fatto e, soprattutto, le dinamiche esatte che hanno dato il via al tutto.
In luce di quanto il cineasta ucraino – in questi ultimi anni più prolifico che mai – ha recentemente prodotto (basti pensare semplicemente, volendo restare nell’ambito del documentario, al potentissimo Austerlitz, del 2016, o al precedente The Event, realizzato nel 2015, giusto per fare un paio di esempi) dobbiamo riconoscere che, probabilmente, pur ricollegandosi con il tema della memoria storica allo stesso Austerlitz, Victory Day mette in scena, forse, un tema meno scottante, meno “urgente”, dove, al di là delle varie sfumature di volta in volta presentateci, ciò su cui principalmente ci si vuol concentrare è l’umanità in sé, letta in chiave rigorosamente loznitsiana, dove, come in tutti i precedenti lavori, sono il tempo e la memoria i veri protagonisti ed i veri fili conduttori.
Per il resto, è il Cinema allo stato puro a parlare: non ama, Loznitsa, ridondanti didascalie o interviste. Non ama il documentario nella sua accezione più classica. Ciò che fin dall’inizio della sua carriera fa è lasciare che siano le immagini a raccontarci i fatti. La parola alle immagini, per la regia di uno sguardo particolarmente attento e sensibile, che sa cogliere ogni singolo aspetto di ciò che di volta in volta si decide di mettere in scena. È stato il caso, questo, ad esempio, di documentari come Portrait (2002), Die Fabrik (2004), così come dello stesso Austerlitz. Tale messa in scena è diventata, oramai, vero e proprio marchio di fabbrica del cineasta ucraino, ulteriore dimostrazione di come le immagini stesse riescano a colpire lo spettatore toccandolo nel profondo ed inferendogli, spesso e volentieri, scossoni emotivi che non si dimenticano facilmente. Se solo in Italia un autore come Sergei Loznitsa riuscisse a trovare il proprio, meritato spazio all’interno dei palinsesti!

Marina Pavido

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