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Una storia senza nome

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VOTO: 6.5

Realtà o immaginazione?

«Nella vita come nel cinema le cose più importanti sono quelle che non diciamo». È una delle frasi lapidarie, sintomatiche e sincere di Una storia senza nome di Roberto Andò, un thriller che potrebbe farvi cadere in trappola, nelle maglie di una storia tutta da svelare.
Valeria (Micaela Ramazzotti) è una giovane segretaria di un produttore cinematografico (Antonio Catania) e soprattutto scrive in incognito per uno sceneggiatore, Alessandro Pes (a cui dà volto Alessandro Gassman). Mentre questi subisce la pressione di dover consegnare le pagine per il prossimo film, la donna riceve in regalo da uno sconosciuto, un poliziotto in pensione (l’impeccabile Renato Carpentieri), la trama da servire sul piatto d’argento all’uomo. Nessuno, però, immagina quanto possa essere pericoloso un plot, tanto più se ispirato dalla realtà (ancora irrisolta).
“La storia senza nome” racconta infatti il misterioso furto, avvenuto a Palermo nel 1969, di un celebre quadro di Caravaggio, la Natività; scopriamo che l’opera è ancora in circolazione, costituendo un tasto bollente non solo per chi ne è venuto in possesso illegalmente, ma anche per lo Stato.
«L’ho scelta perché, come me, ha il culto della segretezza» afferma l’anziano a Valeria, abile nel creare l’alone di mistero attorno a sé e a disvelarlo centellinando piccoli indizi fino all’ultimo momento. Una “pedina” fondamentale per la ricostruzione del puzzle è la madre della ghostwriter, Amalia (la brava Laura Morante a cui tocca ancora una volta una parte da donna eccentrica e nevrotica, ma che ben sa gestire, senza andare mai sopra le righe), ma non vogliamo scoprire troppo le carte.
Roberto Andò dirige e scrive (co-sceneggiando con Angelo Pasquini, in collaborazione con Giacomo Bendotti) un lungometraggio che gioca con la macchina cinematografica e con i meccanismi insiti nella finzione creata da quest’Arte, che spesso arriva a essere più onesta di ciò che viviamo nella vita vera e nonostante si serva di personaggi doppi. «Mi faceva piacere, in un momento in cui il cinema appare più fragile e marginale, raccontare una storia al cui centro ci fosse un film e il suo misterioso, imprescindibile, legame con la realtà», ha dichiarato il regista. «Con questo film avevo voglia di ritornare a un tono leggero, e di ritrovare temi che mi accompagnano da sempre (basti ricordare Sotto falso nome): il fascino dell’impostura, i sentimenti nascosti che aspettano il momento propizio per uscire allo scoperto, gli equivoci che fanno d’improvviso deragliare la vita lasciandone esplodere il lato comico e imprevisto». Non si può incastonare Una storia senza nome in unico genere, ci fa sorridere grazie ai toni adottati così come ci regala, in particolare, un momento di commozione, senza dimenticare le riflessioni sulla bellezza dell’arte e su come la criminalità – e non solo – l’abbia messa a repentaglio. L’unico appunto riguarda la prevedibilità di alcuni passaggi nell’avvicinarci all’epilogo (soprattutto per chi è avvezzo al giallo) abbassando, così, la soglia della tensione.
«La verità spesso uccide, a salvare è la finzione». Al cinema e a ciascuno di noi l’ardua sentenza.
Dopo esser stato presentato Fuori Concorso alla 75esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il film arriva nei nostri cinema grazie a 01 distribution.

Maria Lucia Tangorra

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