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Money Monster

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VOTO: 7

L’economia genera mostri

L’economia genera mostri. Lo sa bene Jodie Foster, ultima di una serie di autori confrontatisi, in questi anni, con la più grave crisi finanziaria che il mondo ricordi e con le degenerazioni di un sistema sempre più vorace e indifferente.
Dal David Cronenberg di Cosmopolis fino all’Adam McKay de La grande scommessa non sono stati pochi infatti i registi che hanno saputo, chi più chi meno, restituire l’immagine di un mondo cieco e cannibale come quello economico, un mondo governato dal solo interesse e nascosto dietro l’asettica e omicida ragionevolezza di algoritmi, calcoli e cifre.
É su questa semplice, cristallina e spietata certezza che pone le sue basi un film come Money Monster, serratissimo e frenetico thriller ma anche brillante e rabbiosa riflessione su una realtà –  quella del mercato globale – criminale e fuori controllo.
Un gioco al massacro e senza scrupoli che Lee Gates (un più che mai sornione George Clooney), sedicente e cinico presentatore di un programma finanziario per investitori, ben conosce e contribuisce – tra volgarità e cattivo giornalismo –  a mandare avanti e che il giovane disperato Kyle Budwell (il Jack O’Connell di Unbroken) sperimenta sulla propria pelle, decidendo, infine, di sequestrare in diretta tv proprio Gates e il suo staff (tra cui spicca la regista Julia Roberts), determinato a ottenere giustizia e a far luce su una gigantesca frode azionaria.
A cinque anni di distanza dall’anomalo ma coraggioso Mr. Beaver la Foster torna dietro la macchina da presa ancora una volta con una storia sorprendente e tutt’altro che consolatoria, sorretta, sì, da una rigorosa confezione classica e da schemi consolidati, ma pronta, se necessario, a farli saltare, a invertirli di segno ora con l’ironia e l’umorismo nero dei suoi interpreti, ora con la tragicità di una realtà che non può più contemplare il lieto fine.
Il risultato è un’opera solida e mirata che non scorda la lezione del Lumet di Quel pomeriggio di un giorno da cani e che, con gusto popolare e coinvolgente, sa farsi esemplare e competente quanto basta per tracciare il quadro drammatico di una disfatta, di una fiducia tradita, di un’umanità sull’orlo del baratro.
Semplicistica e retorica? Forse. Ma mai come oggi il manicheismo apparente di Money Monster pare tanto vicino alla realtà, quella realtà che – tra qualche eccesso di sensazionalismo e qualche forzatura di sceneggiatura – emerge in ogni sua bruttura, dominata in ogni suo aspetto dalle disoneste logiche del profitto, da un sistema mediatico complice e colpevole e da un giornalismo che ritrova la propria etica solo con un’arma puntata contro la testa.
Fino al punto in cui – prevedibilmente ma inevitabilmente – non pare più così scontato da quale lato della pistola stiano i buoni e da quale i cattivi.

Mattia Caruso

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