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La Favorita

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VOTO: 7.5

Al servizio di Sua Maestà

La New Wave greca: una delle poche, vere correnti cinematografiche contemporanee. Un movimento che, sin dalla sua nascita, non ha fatto altro che dividere – spesso anche in modo estremo – sia pubblico che critica. Capita. Soprattutto quando le opere che prendono vita da correnti simili riescono, in un modo o nell’altro, a creare linguaggi del tutto soggettivi. Così è stato, ad esempio, per le opere di Yorgos Lanthimos, giovane regista e produttore, considerato di diritto il nome più importante di tale movimento. Al punto di catturare l’attenzione persino di Hollywood, dove già dal 2015 è stato operativo, dando vita a The Lobster, presentato in concorso al Festival di Cannes. Già presente in concorso a Venezia nel 2011 con Alps (Premio Osella alla miglior Sceneggiatura), il cineasta è tornato nella storica cornice lidense con La Favorita, in corsa per il Leone d’Oro alla 75° Mostra d’Arte Cinematografica. La pellicola, oltre ad essere il primo lavoro non sceneggiato dallo stesso Lanthimos (lo script è firmato Deborah Davis e Tony McNamara), è anche il primo lungometraggio in costume realizzato dal regista.
La storia qui messa in scena è quella di due cugine: Sarah Churchill – da anni fidata dama di compagnia della regina Anna di Gran Bretagna – e Abigail Masham, caduta in povertà a causa della vita dissoluta di suo padre, ma decisa a intraprendere una rapida scalata sociale e a ingraziarsi la stessa regina. Anche a costo di giocare sporco. In poche parole, quasi una sorta di Barry Lyndon in gonnella (è inevitabile che persino lo stesso Lanthimos ci abbia pensato).
Con una situazione sì controversa e intricata, non v’è dubbio che il regista abbia trovato pane per i propri denti e si sia divertito a regalarci un nuovo ritratto del genere umano – nello specifico, di chi detiene importanti poteri – osservato, come sempre, con occhio iper critico e decisamente cinico, dove pare non ci sia speranza alcuna di salvezza né tantomeno spazio – salvo poche eccezioni – per ogni qualsivoglia forma di naturale umanità. La storia messa in scena, dunque, è la storia di tre donne e del loro rapporto con il potere: se la regina Anna ci appare stanca, provata da numerosi lutti, pericolosamente fragile e desiderosa solo di essere amata, le due donne che la circondano sono, al contrario, personaggi forti, volitivi, disposti a tutto pur di accattivarsi le simpatie della sovrana. Ma chi delle due si rivelerà, alla fine, la più spietata? Chi riuscirà a raggiungere il proprio obiettivo?
Se inizialmente i toni adottati dal regista sono quelli della commedia (i nobili, nello specifico, sono ridicolizzati quasi come a suo tempo ha fatto Rossellini nel suo La presa di potere da parte di Luigi XIV), ben presto la situazione si fa sempre più pesante, soffocante, claustrofobica. Il palazzo reale – grazie, come di consueto da parte del regista, a un copioso uso di grandangoli e fisheye, oltre che di un importante commento musicale firmato Mozart e Beethoven – diventa una sorta di trappola, una gabbia dorata in cui sono rinchiuse le due protagoniste. Da lì sembra non esserci via d’uscita. Eppure, per una strana perversione della mente umana, ognuno sembra non desiderare altro che esservi rinchiuso.
Impeccabile nell’estetica, La Favorita – pur attingendo a piene mani da ciò che è stato realizzato in passato da cineasti di tutto il mondo – si è rivelato un prodotto complessivamente ben riuscito, dove sopra ogni cosa spiccano le performance delle tre protagoniste: le ottime Rachel Weizs (nel ruolo di Sarah) e Emma Stone (che interpreta Abigail) hanno dato ulteriore conferma del loro talento, eppure particolarmente degna di nota è la prova attoriale di Olivia Colman, nel ruolo della regina Anna. Possibile Coppa Volpi? Probabilmente è troppo presto per dirlo.
L’unica critica che si potrebbe muovere alla presente opera è, forse, proprio la mancanza di quell’autorialità che da sempre ha contraddistinto il cinema di Lanthimos e che gli ha permesso di farsi notare all’interno del panorama cinematografico internazionale, prima di uniformarsi sempre più ai canoni hollywoodiani. Poco male, però. Come già affermato, infatti, il prodotto in questione è più che dignitoso. E la potente scena finale in cui vediamo in dissolvenza i primi piani della regina, di una sofferente Abigail e di un nutrito gruppo di conigli è, di fatto, una vera e propria ciliegina sulla torta.

Marina Pavido

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