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Io che amo solo te

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VOTO: 4

Se stiamo insieme, ci sarà un bouquet

Con la sua nuova regia Marco Ponti ha fatto “un bouquet nell’acqua”. E siccome, non paghi delle pessime freddure con cui abbiamo esordito, ci diverte persino il tentativo di sviscerarne il senso, cominciamo col dire questo: il bouquet c’entra davvero con questo raffazzonato racconto cinematografico, perché Io che amo solo te è innanzitutto un’agile commediola di ambito matrimoniale, ispirata all’omonimo romanzo di Luca Bianchini, in cui esili storie di corna pre-nuziali, parentele scomode e sgangherate cerimonie in chiesa vanno ad intrecciarsi con sentimenti tenuti difficoltosamente a freno; come quello di vecchia data che lega i personaggi di Michele Placido e Maria Pia Calzone, ossia Don Mimì e Ninella, i quali ci vengono presentati rispettivamente come il padre dello sposo e la madre vedova della sposa, ma che ben presto scopriremo aver avuto un’intensa storia d’amore in gioventù; o magari come il fratello dello scanzonato giovanotto da maritare, allontanatosi a sua volta dalla famiglia per lavoro ma anche per nascondere a loro e al resto del paese il proprio orientamento omosessuale. Visto che l’intrecciarsi di queste relazioni non riesce mai ad acquisire reale profondità, senza peraltro regalare sufficiente divertimento negli scialbi siparietti umoristici, dove andrà a cadere il famigerato bouquet, al termine dell’estenuante pranzo di matrimonio? Lo abbiamo anticipato, tra il serio e il faceto, nella battuta iniziale: in acqua. “Metaforicamente”, ovvio, anche se sono proprio le cristalline e trasparenti acque costiere l’unico elemento del film che, pur nella sua vocazione da cartolina turistica e con un continuo abuso da parte del regista, attrae costantemente lo sguardo. Del resto la storia si svolge nell’incantevole Polignano a Mare…

Ma anche qui sorge un problema. Troppo spesso, sul grande schermo, la Puglia si sta allontanando da quella spinta sana verso la glocalizzazione del cinema italiano e da quel territorio di folgoranti scoperte cinematografiche, che aveva rappresentato ai tempi dei primi film di Winspeare o de LaCapaGira di Alessandro Piva, Mentre resta terreno fertile, purtroppo, per commedie dall’anima folkloristica e fondamentalmente insipida come questa o come Le frise ignoranti, uscita circa un anno fa col bonus di un Lino Banfi a dire il vero piuttosto spento e mortificato, nei panni di neoborbonico convinto.
In Io che amo solo te uno script umorale e tenuto insieme con lo sputo tenta di conferire quel minimo di credibilità alle goffe interpretazioni di Riccardo Scamarcio e Laura Chiatti, improbabili sposini, allorché sullo sfondo si affermano un’aneddotica e una retorica da strapaese, che persino le deliziose vedute della cittadina pugliese faticano a rendere digeribile.
Si stacca dall’anonimato la buona vena di alcuni comprimari, su tutti Antonio Gerardi, Dino Abbrescia e persino una Littizzetto meno insopportabile di altre volte, nel mettere in scena una donna insopportabile, al pari poi di qualche battuta finalmente azzeccata sulla sempiterna presenza democristiana nel consunto immaginario di questo disgraziato “stivale”. Troppo poco, per rendere interessante il recupero di un cineasta, Marco Ponti, che in fondo uno sguardo sufficientemente vivace e acuto sulla realtà italiana lo ha saputo dimostrare giusto agli esordi. I tempi di Santa Maradona e A/R Andata + Ritorno, però, sembrano essere irrimediabilmente lontani.

Stefano Coccia

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