Il peso della scelta
Chi meglio di Francesco Frangipane poteva portare sul grande schermo una trasposizione di Dall’alto di una fredda torre, l’omonimo testo teatrale firmato da Francesco Gili che dal 2015 regala emozioni forti a tutti gli spettatori che hanno avuto la possibilità di vederlo. L’attore e regista veneto ha infatti una conoscenza approfondita della pièce avendola diretta. Con lo scorrere delle repliche il testo in questione ha finito con il cucirselo addosso, a conoscerne ogni singolo aspetto al punto tale da non avere più nessun segreto. Motivo per cui il film da esso tratto, distribuito da Lucky Red a partire dal 13 giugno 2024 dopo l’anteprima nella sezione Grand Public della 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma, non poteva che essere affidato a lui che ne ha fatto la sua opera prima.
Per chi non avesse avuto precedenti contatti con la matrice, alla quale la pellicola (sceneggiata dallo stesso Gili) è rimasta in gran parte fedele nello spirito, nei personaggi e nel racconto, ma non nell’architettura che la vuole una tragedia in quattordici quadri, la vicenda ci porta nella normalità di una famiglia composta da padre, madre e due gemelli che viene spezzata da una terribile scoperta: entrambi i genitori sono gravemente malati ma solo uno dei due può essere salvato. Spetta ai figli decidere se comunicarglielo e, soprattutto, decidere chi tenere in vita. Una scelta drammatica, che li obbligherà a fare i conti con il loro passato e che porterà a galla i più feroci istinti.
Il risultato è un intenso e a tratti straziante dramma familiare-esistenziale sulle dipendenze affettive che richiama la tragedia greca e Dostoevskij, attraverso la quale Frangipane affronta grandi temi universali, focalizzandoli in un contesto più circoscritto, vale a dire quello domestico. In Dall’alto di una fredda torre si toccano tematiche dal peso specifico rilevante, scivolose e difficili da maneggiare poiché si rischia di farsi veramente male in quanto materia che scotta: dall’angoscioso dilemma se sia giusto o no incidere sul destino degli altri al se sia lecito sostituirsi al fato, ponendo i protagonisti di fronte alla facoltà/responsabilità di dover decidere se far vivere e/o far morire un uomo, con tutta la questione morale e sociale che ne consegue. Gli autori, forti del lavoro precedente fatto in teatro che ne ha consolidato e compattato le fondamenta drammaturgiche e la messinscena, non si lasciano intimorire dalla portata delle argomentazioni e delle riflessioni sollevate da un testo che oscilla tra la vita e la morte, tra la salvezza e la rovina. La narrazione si muove costantemente sul ciglio di questa doppia coppia di estremi, con i personaggi che come degli equilibristi camminano per l’intera durata sull’orlo del baratro mettendo il fruitore di turno di fronte a una situazione di profonda angoscia. Ed è su questa che Frangipane e Gili costruiscono l’ottovolante che permetterà al flusso emotivo di salire e scendere in maniera febbrile. Scene come la discussione a tavola durante il pranzo della domenica o quella dei due gemelli con i dottori rappresentano il picco in tal senso. E se ciò accade il merito è in gran parte delle interpretazioni dei protagonisti, una doppia coppia d’assi formata da Edoardo Pesce e Vanessa Scalera da una parte e Anna Bonaiuto e Giorgio Colangeli dall’altra, che alza l’asticella e consente al film di fare suonare corde su molteplici scale di intensità. Assoli, duetti ed ensemble funzionano in egual modo grazie alla direzione di Frangipane, che a sua volta attinge al suo lavoro con gli attori tra audiovisivo e palcoscenico. Background, questo, che si rivelerà un valore aggiunto ai fini delle performance individuali e corali degli interpreti chiamati in causa.
Nella trasposizione l’autore non rinuncia all’impianto teatrale, che resta insito nel DNA dell’architettura generale del progetto soprattutto quando vengono messe in quadro le scene in interno. Ciò però, a differenza di altre operazioni analoghe come gli adattamenti di Due partite o Favola che restano ancorati e dipendenti dalle rispettive matrici, non rappresenta mai un limite alla pari di Quasi Natale, con Frangipane che abbatte in più di un’occasione i muri e di conseguenza la quarta parete per immergere la vicenda nella natura selvaggia di un’Umbria avvolta dalla nebbia e tra i suggestivi vicoli e le piazze di Gubbio. Quando la macchina da presa sposta l’azione all’esterno la fotografia di Sammy Paravan infatti restituisce sullo schermo una dimensione cinematografica degna di nota.
Francesco Del Grosso