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Enter the Clones of Bruce

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VOTO: 7

S’annamo a divertì, Bruce Lee, Bruce Lee!

Spostiamoci pure dal Teatro Nuovo Giovanni da Udine al cinema Visionario. Qui il Far East Film Festival 2024, esulando dai film in concorso, ha offerto una serie di visioni supplementari, che soprattutto sul fronte documentaristico hanno propiziato non poche sorprese e riscoperte. Anche opere cinematografiche restaurate di recente, come il lirico documentario Nakdong River (1952) del coreano Jeon Chang-keun, pieno di colte citazioni letterarie e di riferimenti alla Storia del proprio paese, divenuta ancora più drammatica negli anni in cui il film veniva girato.

Tutt’altro registro per il recentissimo Enter the Clones of Bruce di David Gregory, film-maker specializzatosi da anni nel condurre ricerche sul cinema di genere d’ogni epoca e latitudine. In tale circostanza a gioire possono essere i numerosi fan del cinema d’azione orientale e più in particolare del grande Bruce Lee. Sulla popolarissima star originaria di Hong Kong sono stati realizzati nel tempo svariati documentari, alcuni anche ben fatti, come quel Be Water di Bao Nguyen, presentato con successo alla 2ª edizione del Mescalito Biopic Fest.
Dal canto suo David Gregory ha optato per una prospettiva decisamente più inconsueta e comunque sfiziosissima, nell’ottica dei vari appassionati del genere. Si è messo a setacciare, cioè, tutto il possibile e forse anche l’impossibile, in quel fitto sottobosco di titoli (perlopiù scanzonati B-Movies, se non proprio film di serie Z) prodotti dopo la morte del leggendario Bruce Lee, riutilizzando sciattamente sequenze di altri suoi film, scimmiottandone lo stile e le più celebri avventure cinematografiche, impiegando addirittura attori emergenti e campioni di arti marziali il cui nome risultava essere furbescamente una storpiatura del Nostro. Eccoci quindi alle prese coi “cloni” dell’epoca: Bruce Li (ovvero Ho Chung-tao), Dragon Lee (ovvero Moon Kyung-seok), Bruce Lai, Bruce Liang. Farseschi epigoni, che hanno reso la cosiddetta “Bruceploitation” filone di assoluto rilievo, nel cinema commerciale di livello più infimo realizzato alla scomparsa del campione.

Per realizzare un lungometraggio tanto accurato erano necessarie, oltre al comprensibile “scrupolo filologico”, ampie dosi di humour e quello “storytelling” in grado di dare a un documentario piuttosto classico, nella sua impostazione, la brillantezza giusta. L’espertissimo David Gregory vi è riuscito qui egregiamente. Alimentando così nello spettatore un interesse mutevole, pronto a colorarsi di sfumature malinconiche allorché lo sfruttamento post mortem dell’immagine del divo approdava a una rozza necrofilia; ma orientato con ancor più decisione verso un approccio ridanciano, satirico, se si considerano tutti gli spezzoni di scalcinate pellicole d’azione e di improbabili “crossover”, interpretati dagli epigoni di Bruce Lee e montati abilmente in tale documentario.

Stefano Coccia

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