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Eileen

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VOTO: 6,5

Attrazione fatale

Dopo un rinvio di un paio di settimane dettato probabilmente dalla scomoda concomitanza con il 77° Festival di Cannes che ne ha fatto slittare l’uscita con Lucky Red e Universal Pictures dal 16 al 30 maggio, per Eileen è giunto finalmente il momento di approdare nelle sale nostrane dopo l’antipasto dello scorso ottobre consumato in occasione della presentazione nella sezione Grand Public della Festa del Cinema di Roma 2023, preceduto dall’anteprima mondiale nella prestigiosa cornice del Sundance Film Festival.
Per la sua opera seconda, William Oldroyd decide ancora una volta di affidarsi a un romanzo d’epoca, a dimostrazione di un rinnovato interesse per la letteratura, in particolare quella di genere crime e thriller, oltre che per il passato e di conseguenza per il period-drama. Ingredienti questi ai quali a quanto pare il regista inglese e il suo cinema non vogliono rinunciare. Ecco allora che si passa da Lady Macbeth del 2016, con il quale ha portato sul grande schermo la rivisitazione ambientata nella Gran Bretagna di fine Ottocento di “Lady Macbeth del Distretto di Mcensk” dello scrittore russo Nikolaj Leskov, alla Boston degli anni Sessanta (dipinta dalla fotografia di Ari Wegner con colori sbiaditi, la pasta che richiama quella della pellicola e il font dei paratesti dallo stile vintage) che fa da cornice alla trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo del 2015 firmato dalla statunitense Ottessa Moshfegh, qui anche co-autrice insieme a Luke Goebel della sceneggiatura. È nella capitale dello Stato del Massachusetts che la giovane Eileen conduce una vita monotona lavorando come segretaria in un riformatorio minorile e prendendosi cura di Jim, il padre alcolista. Le cose cambiano con l’arrivo di Rebecca, la nuova psicologa del carcere. Brillante e disinvolta, la donna esercita un fascino magnetico sulla ragazza, che rimane immediatamente attratta dalla sua eleganza. La loro amicizia prende però una piega pericolosa quando Rebecca le rivela un oscuro segreto. Quale lo lasciamo ovviamente alla visione, ma darà una scossa molto forte a un tracciato narrativo monocorde che altrimenti fino a quel movimento tellurico viveva sol di sussulti e lampi improvvisi. Sta forse nel tardivo rodaggio e nel posticipo nell’innesco del meccanismo giallo il tallone d’Achille della pellicola.
Nella prima parte, infatti, Eileen racconta una storia di ribellione ed emancipazione, non solo da un ambiente claustrofobico e oppressivo, ma anche dalle strette prigioni interiori in cui a volte finiamo per rinchiuderci. Prigioni queste che la messa in scena materializza sullo schermo: da una parte quella lavorativa che vede la protagonista impiegata come segretaria in un penitenziario minorile, dall’altra quella casalinga nella quale accudisce il padre ex poliziotto alcolizzato dopo la morte della madre. Lo fa ritraendo due donne alle prese con l’esplorazione di una libertà che investe i loro corpi e i loro desideri femminili in un’epoca che li limita e li prescrive. Inizialmente le dinamiche e l’avvicinamento tra le due protagoniste sembrano suggerire un’affinità elettiva e una comunione d’intenti con il Todd Haynes di Lontano dal paradiso e Carol, incentrato sulla complicità d’una coppia di donne e sugli ostacoli da affrontare per poterla vivere. Trattasi però di un depistaggio ma non fine a se stesso, poiché prepara il campo al cambio di pelle, di registro e di genere al quale la scrittura sottopone il plot, portando alla luce quella che era la vera natura gialla e crime che scorreva sotterranea nelle sue viscere prima di emergere e tingere di rosso la vicenda. Ci vorrà una fatidica telefonata alla vigilia di Natale a smuovere quei fili narrativi che precedentemente portavano diritti al melò. Questi lasciano improvvisamente il posto a un’anima più dark e mistery che abbandona il sentiero di Haynes per imboccare quello dei classici hitchcockiani, ai quali il cineasta rende a suo modo omaggio. Sarà un caso che uno dei personaggi principali si chiami Rebecca? Pensiamo proprio di no.
Supposizioni a parte, da quel momento in poi e per quel che resta della timeline a disposizione l’attenzione di Oldroyd, della macchina da presa e di riflesso del racconto, si concentrano sull’esplorazione sui lati oscuri della mente di Eileen, mettendo da parte le connotazioni sessuali sviluppate in precedenza. C’è quindi un filo rosso che collega i ritratti delle protagoniste dei suoi due film con quella dell’opera seconda che fa eco alla gotica dark lady, ingenua e perversa della pellicola d’esordio, ossia la giovane Katherine, nei panni della quale c’era una straordinaria Florence Pugh. La collega neozelandese Thomasin McKenzie (apprezzata in Jojo Rabbit e in Ultima notte a Soho) in quelli di Eileen non è da meno, offrendo anche lei una performance davvero efficace, che sale ulteriormente di livello, qualità e temperatura ogni volta che entra in scena al suo fianco Anne Hathaway nelle vesti di Rebecca. Vedere la tesissima scena del sottoscala che cambia drasticamente i connotati alla storia e al destino delle figure che la animano per credere.

Francesco Del Grosso

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