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Buio

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VOTO: 7

Fuori c’è un mondo…

Vi sarà capitato di rivedere un film a distanza di tempo e di leggerlo con altri occhi in seguito alle esperienze personali accumulate o agli eventi storici che si sono verificati nel frattempo. Questi possono in qualche misura cambiare o persino stravolgere l’idea che ci si era fatti della pellicola in questione all’epoca della prima visione. A qualcuno sarà capitato di recente riguardando Buio di Emanuela Rossi, che il pubblico aveva già incrociato meno di un anno fa durante la Festa del Cinema di Roma, in occasione dell’anteprima ad “Alice nella città”.
L’opera prima della regista marchigiana, distribuita dal 7 al 21 maggio in direct to video e in streaming su Mymovies.it, ci porta al seguito della diciassettenne Stella, che vive con le due sorelle più piccole, Luce ed Aria, in una casa dalle finestre sbarrate, una sorta di eterna quarantena. Ogni sera, il padre rientra, si spoglia della maschera antigas e della tuta termica, porta il cibo e aggiorna le figlie con i racconti dell’Apocalisse in corso, che continua a decimare l’umanità. Ma all’interno delle quattro mura ci sono dei conflitti: le ragazze stanno crescendo, si modificano gli equilibri… Una sera il padre non torna. Stella decide di uscire, per cercare cibo.
È sufficiente scorrere il plot per capire a cosa ci riferiamo nel momento in cui facciamo riferimento al cambio di approccio alla pellicola. Ci rendiamo conto che i giorni di lockdown hanno di fatto già influenzato nella vita reale l’immaginario del pubblico, con film come Virus letale e soprattutto Contagion che ad oggi, con tutto quanto ciò che è accaduto e che continua ad accadere alle varie latitudini, hanno di fatto acquistato dei toni profetici. Ma al di là delle fatali coincidenze, per approcciarsi nel migliore dei modi e con lucidità a Buio bisognerebbe sgomberare dalla mente qualsiasi tentazione di associare la situazione di costrizione alla quale sono sottoposte le tre giovani protagoniste con la cronaca dell’attuale isolamento da pandemia, per lasciare il giusto spazio all’analisi delle dinamiche domestiche che intercorrono tra di loro e con la malsana figura paterna. Del resto si tratta del baricentro su e intorno al quale si sviluppa l’esordio della Rossi. Ed è su di esso che torniamo a posizionare la lente d’ingrandimento.
Ciò che riprende forma e sostanza davanti ai nostri occhi è un thriller camaleontico che ha nel proprio DNA un mash-up di generi, colori, atmosfere e toni che minuti scorrendo cambia connotati al racconto. Si passa così dal disaster movie post-apocalittico ansiogeno e claustrale, circoscritto in un’unità spazio-temporale che non permette ai personaggi un contatto con l’esterno, alla fiaba dark in chiave mistery che tocca tematiche di stretta attualità e fortemente drammatiche. Due anime, queste, che albergano nello script, coesistono senza intralciarsi, per poi cedersi il testimone quando la quarantena viene interrotta. È inevitabile che una tale condensazione faccia emergere nel fruitore una serie di déjà-vu che richiamano film come Room, The Village e soprattutto Dogtooth, ma Buio a conti fatti riesce comunque a trovare una propria identità. Per farlo gioca al gatto e al topo con lo spettatore, proprio con il cambio di carte in tavola che nel momento in cui l’evoluzione della vicenda sembra avere portato la storia sui binari dell’ovvietà getta una nuova luce sull’epilogo.
Al netto di qualche fragilità strutturale e giro a vuoto nella timeline che genera dei brevissimi blackout, la pellicola della Rossi riesce a tenere a sé l’attenzione del fruitore facendo leva – senza forza mai troppo – sull’efficace sali e scendi di tensione latente che porta allo scoperchiamento del “Vaso di Pandora”. Il che fa di Buio una buona opera prima, ben supportata dal cast e da una confezione di qualità.

Francesco Del Grosso

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