Home AltroCinema SpazioItalia Lady Cobra – Una killer in blues

Lady Cobra – Una killer in blues

25
0
VOTO: 6

“Ballad” cimiteriale ligure

Come una “Antologia di Spoon River” ligure, Lady Cobra – Una killer in blues ci pone a contatto con la morte e con la realtà cimiteriale da svariate angolazioni. Non ultima quella determinata dal Fato. O dal caso, che dir si voglia. Difatti, se durante l’anteprima di questo lungometraggio indipendente svoltasi a Roma lo scorso 13 aprile non poca sorpresa aveva destato la presenza sullo schermo di un anziano e già affaticato Adriano Aprà, decano della critica cinematografica italiana impegnato qui in un emblematico cameo, aver saputo in sala che proprio lui non poteva partecipare alla premiere per problemi di salute qualche preoccupazione l’aveva pur generata. E puntuale (come la morte, è proprio il caso di dire) il 15 aprile è arrivata la notizia della sua scomparsa.

Si potrebbe anche dire, ma qui porremo termine alle nostre speculazioni sull’argomento, che abbia trovato ulteriore conferma l’aforisma di Jean Cocteau, per il quale come è noto «Il cinema è la morte al lavoro sugli attori». Venendo infine al film di Fabio Giovinazzo, che ci era stato introdotto come un mix di Quentin Tarantino e David Lynch (termini di paragone quanto mai impegnativi), la nostra impressione è che tale opera autarchica e sfrontata abbia poche qualità del primo e risulti invece più personale, interessante, quando è l’immaginario del secondo a essere lambito.
Ne è protagonista una fioraia dai trascorsi tempestosi che alterna il lavoro presso un cimitero di provincia agli omicidi su commissione, accettati però soltanto dopo qualche lungo confronto verbale con il cliente di turno: Lady Cobra è il suo soprannome, dovuto alla meravigliosa AC Cobra del 1969 che è solita guidare. Ad interpretarla una grintosa ma riflessiva Nicoletta Tanghèri. La quale, in effetti, a certe eroine “tarantiniane” almeno per il look e per un certo modo di porsi potrebbe essere accostata, considerando poi la tenuta sgargiante e ultra-pop con cui va in giro, quando assume l’identità di Lady cobra.

Se dunque certe coloriture pop e i dialoghi filosofeggianti qualche assonanza con l’universo “tarantiniano” ce l’avrebbero pure, la mancanza pressoché assoluta di azione e il relegare fuori campo le situazioni più torbide o violente segnano invece una distanza notevole, rispetto a tale modello, laddove al contrario nei segmenti onirici e surreali (a nostro avviso di gran lunga più riusciti, rispetto agli interminabili monologhi) qualche eco di Lynch si fa strada con profitto. Tra i siparietti più magnetici vi sono senz’altro quelli para-teatrali, che vedono protagonisti una zebra e un picchio antropomorfi, impersonati con una mimica irresistibile dal duo del Teatrino di Bisanzio. Ma anche il laido clown amante della cioccolata, quasi un Willy Wonka sfasciato e obeso, rimane scolpito nella memoria, fosse pure per il fatto che dalla sua location parte in realtà una svolta positiva, per il racconto: ossia quell’incontro che porterà all’eliminazione, da parte di Lady Cobra, di un viscido e manipolatore prete pedofilo. Non a caso, per un film che si compiace a volte un po’ troppo della staticità dei lunghi monologhi (sebbene quello affidato al “politichese” di Andrea Benfante possieda, ad esempio, un suo fascino da vecchio “pentapartito”), uno dei momenti più ispirati rimane (assieme alle carrellate tra le tombe, rese ipnotiche dalla colonna sonora) quel montaggio alternato così creativo, in cui la sgambata del perverso sacerdote su un campo di calcetto viene contrapposta al passo svelto della protagonista in un ambiente naturale, che sembra quasi rigenerarle l’anima.

Stefano Coccia

Articolo precedenteSei fratelli
Articolo successivoLevante

Lascia un commento

Please enter your comment!
Please enter your name here

1 × quattro =