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Anora

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VOTO: 8

Russia chiama Russia

Un Pretty Woman in salsa russa? Proprio no. Una commedia erotica capace di trionfare al Festival di Cannes 2024? Solo in parte. Fioccano le definizioni per Anora, sorprendente nonché coraggiosissima Palma d’Oro all’ultima rassegna cannense. Eppure basterebbe pronunciare il nome del suo regista, Sean Baker, per comprendere appieno che tipo di film ci si accinge a vedere. Un’opera cioè perfettamente antropologica, dove la narrazione – pur sbalestrata ed eccentrica al punto giusto – conta assai meno dei personaggi messi in scena. Ed in genere, quando il personaggio principale ha il privilegio di meritarsi il titolo del film stesso, c’è da scommettere che sarà la sua parabola narrativa il cuore pulsante dell’opera.
Anni novanta. Anora detta Ani lavora in uno strip club. Ha origini familiari uzbeke ma è nata negli Stati Uniti. Si spoglia, pratica una forma di lap dance assai estrema. E se il cliente paga, ha diritto alla cosiddetta prestazione completa. Un bel giorno si presenta al locale Ivan, giovane ed infantile rampollo di un ricchissimo magnate russo. Partono da lì tutta una serie di eventi che spesso strappano risate spontanee parimenti a spunti di riflessione. Nello stile unico di Sean Baker, autore capace di far aderire perfettamente al reale anche un racconto che in ogni momento potrebbe scivolare nella farsa più trita. Tralasciando i contenuti simbolici, che pure ci sono (l’arroganza del neocapitalismo russo laddove il capitalismo è stato generato) Sean Baker imbastisce una rom com surreale come pochissime altre, in cui i personaggi disvelano la propria natura ad ogni sequenza che si succede. Avulsa dall’ambiente circostante parrebbe inizialmente una versione “sporca” di “Cenerentola che incontra il principe Azzurro”. Eppure Anora usa palesemente il sesso come mezzo di conquista sociale, mentre Ivan utilizza il denaro al fine di conquistare il piacere più effimero, nel nome di un edonismo che non conosce né origine e nemmeno nazionalità. Il Mondo, con suoi confini e rispettive tradizioni, è bello che finito.
Il maggior pregio di Anora risulta poi quello di saper giocare con i generi, dimostrando ancora una volta la grandissima competenza di Sean Baker sotto questo aspetto. Anora è una commedia che scivola nel dramma, fermandosi sempre a poca distanza dalla tragedia priva di ritorno. Del resto anche in Red Rocket (2021) un ambiente degradato – quello dei reietti del porno – faceva da cornice ad una vicenda di riscatto impossibile. La realtà è questa: si può combattere, come fa Anora nel corso del film, ma non sconfiggere un nemico invisibile. E Anora (una superlativa Mikey Madison, già intravista nel tarantiniano C’era una volta… a Hollywood del 2019) lotta con tutte le proprie forze al fine di uscire da un’esistenza la cui sopravvivenza è imperniata unicamente sul suo corpo. Il percorso di consapevolezza della ragazza si sublima in un epilogo da ricordare, dove entra in gioco un terzo personaggio, che si potrebbe definire “osservatore silenzioso” di un variegato teatrino umano. Un giovane russo gentile che rappresenta, genialmente, il contraltare della Russia arrogante dei molti oligarchi modellati sulla scia di Putin, assolutamente ridicoli nel voler mostrare il loro, inconsistente, potere basato solamente sul possesso di denaro.
La bellezza di Anora dunque, a patto che l’opera venga esaminata nella sua completezza, è quella di un prisma a più facce. Se ne osserva una, ma poi l’occhio cade su un’altra, magari totalmente differente. Sean Baker ha compreso alla perfezione che il Cinema, al pari della società, è definitivamente mutato, non esistendo più quello rassicurante di una volta. Ogni film dovrebbe essere un viaggio, con i personaggi alla ricerca di loro stessi e gli spettatori a specchiarsi empaticamente in loro. E, forse, scoprire qualcosa di sconosciuto, intimo, al proprio interno. Anche se, purtroppo, profondamente intriso di amarezza.

Daniele De Angelis

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