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The Weekend

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VOTO: 7,5

Vi presento la strana famiglia

Dulcis in fundo. Ecco a voi un esotico “dessert”, se così si può dire, che abbiamo lasciato più o meno in coda al nostro speciale sul 7° Monsters – Fantastic Film Festival, assieme ad abbondanti secchiate di sangue e antropofagia spinta.
Stiamo parlando proprio del film che a Taranto ha trionfato nel Concorso Lungometraggi, ovvero The Weekend del regista nigeriano Daniel Oriahi, che la giuria composta dal regista Mariano Baino, dall’attrice e sceneggiatrice Coralina Cataldi-Tassoni e dal regista Fabrizio Laurenti ha voluto premiare “Per aver saputo giocare sapientemente con gli archetipi dell’horror in modo familiare ma non prevedibile, integrando realtà e tradizioni locali in un film dal respiro internazionale con grande potere di intrattenimento”.

E per quanto tra i preferiti di chi scrive vi fosse anche il visionario Else di Thibault Emin, tale giudizio ci vede sostanzialmente concordi. Breve premessa metodologica: la così prolifica industria cinematografica nigeriana, nota anche come Nollywood e terza al mondo dopo le più note Hollywood e Bollywood, la si conosceva qui più che altro per la capacità di sfornare una miriade di film, molti dei quali orientati verso i generi di maggior successo e caratterizzati però da budget relativamente bassi, nonché da una fattura talvolta modesta se non proprio dozzinale. Tale era stata anche la nostra impressione, nelle rare occasioni in cui tali produzioni avevano varcato il raggio d’azione dei nostri radar. In un’opera come The Weekend, al contrario, quella smania produttiva tesa a realizzare film di genere in quantità industriale sembrerebbe cedere il passo a una ben diversa cura formale, a una tenuta narrativa pressoché inattaccabile e più in generale a una qualità decisamente più alta, così da assicurare al lungometraggio quel “respiro internazionale” cui accennava nella motivazione del premio la giuria stessa.
Ideale, tropicale controcanto del fortunatissimo Scappa – Get Out di Jordan Peele, con le debite proporzioni e su basi culturali naturalmente non omogenee, The Weekend ha per protagonista una giovane coppia nigeriana in crisi, per il diverso modo di intendere i legami famigliari. Luc ha infatti preso le distanze dal proprio clan, mentre la sua compagna Nikiya che ha perso negli anni tutta la sua famiglia insiste affinché facciano entrambi visita ai genitori di lui nel cuore della Nigeria rurale. Un importante anniversario creerà l’occasione giusta perché i due si mettano in viaggio. Ma sin dall’inizio e un po’ come nel già menzionato Get Out, all’apparente gentilezza di chi li ospita farà seguito un’impressionante carrellata di segreti di famiglia e di allucinanti scoperte, tali da giustificare pienamente il riserbo di Luc e lo scarso entusiasmo da lui dimostrato, nei confronti di quel ritorno alle origini così a lungo procrastinato…

Per la tensione che sprigiona, il film diretto da Daniel Oriahi funziona dalla prima all’ultima inquadratura. Ma non è questo l’unico merito del lungometraggio. Nel crudo racconto di cannibalismo e faide tribali, di antichi rituali e di usanze famigliari scritte col sangue, l’autore ha saputo calare sia la propria conoscenza del genere di riferimento che un ritratto spietato della società nigeriana, come sospesa tra lo spaesamento che si vive nelle grandi città e la chiusura mentale delle zone più remote e arretrate. Ciò che ne deriva è un potenziale Inferno, cui fa da sfondo proprio il contrasto tra inurbamento coatto (con conseguente perdita delle radici) e tradizioni tribali finite fuori controllo. A suggellare l’orrorifico impatto della Modernità sulla Tradizione pochi sapidi tocchi, tra cui ci viene spontaneo citare la presenza di un personaggio secondario, il factotum albino che lavora presso la famiglia di Luc, la cui stessa fisionomia in svariate culture dell’Africa Nera fa rima con cattiva sorte e con forme di ghettizzazione spesso crudeli, ma che nell’incalzante struttura drammaturgica dell’horror nigeriano assume invece una funzione per molti versi incongrua, inaspettata, rivelatrice.

Stefano Coccia

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