Affari (sporchi) interni
Se ci sono dei generi nei quali la cinematografia sudcoreana ha sempre potuto dire la sua, facendo la voce grossa anche a livello internazionale, beh quelli sono proprio il crime, il poliziesco, il thriller e l’action. Se poi questi vengono combinati e mescolati senza soluzione di continuità, allora c’è la possibilità di incontrare opere meritevoli di essere ricordate. Tra quelle di recentissima produzione che ci sentiamo di segnalare figura The Policeman’s Lineage, ultima fatica dietro la macchina da presa di Lee Kyu-man, presentata in anteprima italiana nel ricco cartellone della ventesima edizione del Florence Korea Film Fest.
Il quarto film firmato dal regista sudcoreano su sceneggiature del connazionale Bae Young-Ik è un poliziesco vecchia scuola duro e crudo, sotto la cui superficie scorre una linea mistery che tesse una ragnatela molto fitta di intrighi di potere, tentativi di insabbiamento, abusi, operazioni illecite e corruzione dilagante all’interno delle forze dell’ordine. Un film che ci mostra come anche la legge e i suoi esponenti siano costretti a usare metodi poco leciti e a sporcarsi le mani per raggiungere obiettivi.
In The Policeman’s Lineage, Lee Kyu-man ci porta al seguito del giovane agente di polizia Choi Min-jae, che viene incaricato di eseguire un’indagine interna sull’operato di Park Gang-yoon, capo di una squadra investigativa. La quantità dei suoi arresti effettuati con metodi poco ortodossi ha insospettito i superiori. Questo spinge gli affari interni ad affidare a Choi Min-jae una missione che lo porterà a scoprire che l’uomo su cui sta indagando aveva dei legami con suo padre, anch’esso poliziotto, morto anni prima. Quello che si viene a creare è un giro di vite che coinvolge una serie di personaggi che si muovono pericolosamente sulla sottile linea che separa il bene dal male, la giustizia dal malaffare, la legge dall’illegalità. E la mente torna a quei fatali intrecci che hanno segnato le esistenze dei protagonisti di Training Day, Cop Land, The Departed e per ritornare su suolo coreano di New World. In tutti questi casi abbiamo assistito al passaggio della linea e agli effetti che questo ha avuto sui diretti interessati.
A farla da padrona è una tensione latente che smette di essere tale esplodendo a trenta minuti circa dai titoli di coda con una scena di una retata che alza la temperatura, alla quale ne segue un’altra con tanto di conflitto a fuoco filmato in long take che non passa inosservata dal punto di vista dello show balistico messo in campo. Detto che la produzione sudcoreana di genere è in grado di offrire molto, ma molto di più, c’è da apprezzare comunque lo sforzo congiunto della scrittura, della messa in quadro (fotografia e montaggio di altissimo livello) e degli attori coinvolti, a cominciare dai due efficacissimi protagonisti interpretati da Choi Woo-sik (visto tra gli altri in Parasite e Train to Busan) e Cho Jin-woong, nel contribuire – ciascuno a proprio modo – a forgiare un prodotto d’intrattenimento di buona fattura e capace di tenere costante l’attenzione del fruitore.
Francesco Del Grosso