Ne resterà soltanto uno
Il fenomeno Squid Game, oltre a confermare quanto di ottimo la cinematografia e la serialità sudcoreane sono riuscite a trasferire sul grande e piccolo schermo negli ultimi decenni, ha una volta per tutte portato all’attenzione del pubblico internazionale il talento indiscusso di uno dei suoi interpreti, ossia il divo di casa Lee Jung-jae, che nel tanto celebrato show targato Netflix veste i panni di Seong Gi-hun, meglio conosciuto come numero 456. Ed è a lui che che il Florence Korea Film Fest, in occasione di un’edizione importante come quella del ventennale, ha voluto dedicare una retrospettiva, da lui stessa accompagnata in sala nel corso delle nove giorni fiorentina. E tra i dieci film scelti dalla direzione artistica della kermesse toscana per comporla figura la pellicola del 2013 dal titolo New World.
Nell’opera seconda di Park Hoon-jung, autore ad oggi di altri cinque film tra cui Night in Paradise (presentato fuori concorso alla 77esima Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica) e The Witch, l’attore di Seoul si cala con grandissima credibilità nel ruolo di Ja-sung, un poliziotto infiltrato da otto anni nella più grande organizzazione mafiosa coreana, la Goldmoon. Quando il leader Chairman Seok viene assassinato, il protagonista si trova in mezzo a due fuochi: da una parte la Goldmoon, dall’altra la polizia, il cui capo, Kang, preme per far iniziare la rischiosa operazione battezzata “New World” così da far crollare la gang mafiosa. Ma scegliere da che parte stare non è così semplice, specialmente quando con i gangster si è stabilito un forte legame affettivo.
Un po’ Il padrino e un po’ Infernal Affairs e di conseguenza The Departed, con in più qualche tocco alla Donnie Brasco che non guasta mai, la pellicola del cineasta sudcoreano offre alla platea un riuscito mix di poliziesco, noir, crime, gangster-movie, action e thriller. Un mix che riesce a combinare i generi e i rispettivi stilemi in maniera equilibrata, senza che l’uno prevarichi mai sull’altro. Il risultato è un film solido nella scrittura, capace di combinare la tensione dialettica e mistery della prima parte con quella esplosiva e dinamica della seconda. A quaranta minuti circa dalla fine dei 134 complessivi a disposizione, l’autore innesca improvvisamente la miccia, con un sostanziale cambio di passo in termini di ritmo e adranalina. Quello è il momento esatto in cui la scrittura decide di effettuare uno switch significativo, con una mutazione radicale di pelle che vede la componente action rubare la scena sbrogliando la tela mistery e spy. Da lì in poi, dalle parole si passa una volta per tutte ai fatti, con proiettili, lame e detonazioni che iniziano a dettare legge, lasciando sul campo di battaglia una scia di sangue e centinaia di corpi senza vita.
In New World dunque coesistono più anime, che finiranno con il cedersi il testimone strada facendo. Passaggio, questo, scandito da accelerazioni e decelerazioni in cui spiccano scene d’azione dal forte impatto visivo tra cui la maxi rissa nel garage e il tutti contro uno a colpi di coltello nell’ascensore (da solo vale il prezzo del biglietto), che mostrano i denti già nei primissimi minuti, laddove il regista offre allo spettatore di turno un gustoso antipasto di quello che vedrà nelle due ore successive.
Francesco Del Grosso