Al momento sbagliato nel posto sbagliato
È un vero e proprio one man show reso attraverso un tour de force attoriale di altissimo livello quello al quale si è prestato Jake Gyllenhaal per dare corpo e voce al protagonista di Stronger – Io sono più forte, l’ultima fatica dietro la macchina da presa di David Gordon Green, prossimamente nelle sale nostrane con 01 Distribution dopo le anteprime al Toronto International Film Festival e alla 12esima Festa del Cinema di Roma. Una performance, quella offerta dall’attore statunitense, che siamo sicuri non passerà inosservata agli occhi dei membri dell’Academy, regalandogli una nuova e meritatissima nomination agli Oscar. Staremo a vedere. Nel frattempo, le platee potranno godere di questa ennesima prova di brividi che Gyllenhaal ha portato sul grande schermo, consentendo al film di turno di vedere il proprio peso specifico crescere in maniera esponenziale, fotogramma dopo fotogramma.
La cosa in sé non rappresenta una novità per un attore che ha in più di un’occasione dimostrato al pubblico e agli addetti ai lavori di sapersi caricare sulle spalle il carico di pellicole complesse come ad esempio Donnie Darko, I segreti di Brokeback Mountain, End of Watch – Tolleranza zero, Prisoners, Lo sciacallo – Nightcrawler e Animali notturni. Di fatto, non si è mai tirato indietro e non lo farà nemmeno questa volta, al contrario alzerà ancora di più il tiro. Semmai, la cosa che va tenuta seriamente in considerazione nel momento in cui si passa ad esprimere un giudizio critico sulla sua performance è il grado di difficoltà insito in un film come questo. Nel caso di Stronger, infatti, i rischi su carta erano innumerevoli. Il pericolo di cadere e farsi molto male era elevatissimo. Per fortuna, le cose sono andate nel verso giusto ed è stato proprio il protagonista ad avere messo il film sulla retta via. Dunque, la performance di Gyllenhaal è davvero il valore aggiunto dell’operazione, ciò che le consente di rimanere sempre a galla in acque sicure. È lui che sposta letteralmente gli equilibri, con lo spessore e la tridimensionalità in termini di sfumature che ha saputo donare al personaggio che rappresentano a tutti gli effetti il salvagente al quale Green si è aggrappato ogniqualvolta lo script lo ha messo di fronte a un passaggio complicato e delicato. E di passaggi così nella timeline di Stronger ce ne sono tantissimi. Di conseguenza, la riuscita dell’opera non può prescindere dalla straordinaria prova del suo protagonista.
Le difficoltà maggiori per il regista e per l’attore erano legate principalmente alla responsabilità di trasporre al cinema la storia vera di Jeff Bauman, a sua volta già raccontata nell’omonimo libro autobiografico scritto a quattro mani dallo stesso Bauman e da Bret Witter. In quelle pagine trovarono spazio le memorie dell’attentato alla maratona di Boston avvenuto il 15 aprile 2013, in cui l’allora 27enne protagonista perse entrambe le gambe. Ora quel flusso di parole e ricordi è diventato il tessuto narrativo e drammaturgico dal quale lo sceneggiatore John Pollono ha tratto questo emozionante seppur parziale biopic che ci conduce per mano nel prima e nel post attentato (recentemente al centro anche di Boston – Caccia all’uomo di Peter Berg), ma unicamente attraverso il punto di vista di Bauman. È lui il baricentro e lo resterà sino alla fine, con i fatti e l’individuazione dei responsabili dell’atroce gesto dinamitardo che restano volutamente fuoricampo per fare spazio al percorso esistenziale del ragazzo e della sua rinascita.
La forza di Stronger sta nel ventaglio di emozioni messo a disposizione del fruitore. In tal senso, non manca assolutamente nulla, quanto basta per accarezzare e schiaffeggiare il cuore dello spettatore in modalità random. Emozioni che alimentano costantemente la scrittura, la messa in quadro e le interpretazioni, senza però scivolare mai nel banale, nel patetico, nell’artificioso e soprattutto nella spettacolarizzazione del dolore. Il merito è di aver mostrato la disabilità e la sofferenza, il dramma umano, da una parte senza calcare la mano e dall’altra senza epurare. Stronger ha nel suo DNA l’equilibrio e per raggiungerlo passa attraverso una storia di coraggio, ma anche di sentimenti e di legami affettivi (la famiglia e l’amore di una donna che decide di starti vicino), che allarga gli orizzonti drammaturgici del plot.
A rompere le uova nel paniere ci pensano gli ultimissimi e infami minuti, in cui Green e lo script fanno quello che erano riusciti abilmente ad evitare per tutta la restante parte del film, ossia cedere il passo alla morale a buon mercato e allo stucchevole patriottismo. Davvero un gran peccato. Una chiusura sulla linea precedente, ossia quella che provava a restituire il ritratto di un ragazzo che non voleva essere l’ennesimo “eroe americano”, ma che ha finito per diventarlo, avrebbe rappresentato la vera ciliegina sulla torta.
Francesco Del Grosso