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Lo sciacallo – Nightcrawler

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VOTO: 8

I nuovi mostri

La California è notoriamente terra di terremoti. Ambientato in una Los Angeles notturna e selvaggia, il film di Dan Gilroy rappresenta realmente una scossa tellurica di inusitate proporzioni, in un panorama cinematografico che alle devianze, compromissioni, isterie e deformazioni del mestiere giornalistico ha sempre dedicato profonda attenzione. Ciò vale soprattutto per il cinema americano. Passando per alcuni caposaldi tra cui spiccano L’asso nella manica (1951) di Billy Wilder e Quinto potere (1976) di Sidney Lumet, gli Stati Uniti hanno visto messi all’indice, più di una volta, il cinismo e l’arroganza che arrivano a contaminare i principali mezzi di informazione, il tutto rielaborato attraverso teoremi freddi, disturbanti, spietati, con al centro figure professionali morbosamente interessate a fare carriera. Si era comunque reso necessario un “update”. Anche perché, come ci illustra questo adrenalinico e sconvolgente lungometraggio, il giornalismo d’assalto subappaltato a piccoli imprenditori di se stessi sembra essersi trasformato, ormai, in una corsa contro il tempo sempre più folle; corsa senza regole, senza etica alcuna, durante la quale filmare morti tragiche e drammi d’ogni tipo, riducendo di volta in volta la distanza dall’epicentro dell’incidente, della rissa, dell’omicidio di turno; ecco qual è nel film la chiave per avere successo, ossia per sedurre (e sedare) il voyeurismo sempre più perverso, acritico e malato del pubblico medio. Presentato in anteprima alla nona edizione del Festival di Roma, sezione Mondo Genere, Lo sciacallo – Nightcrawler ha saputo esprimere l’urgenza di tale critica ai media, facendola convergere verso un discorso filmico oltremodo vibrante, tanto coinvolgente sul piano spettacolare quanto maturo nell’aggredire il linguaggio ormai stravolto del report televisivo.

Il personaggio di Jake Gyllenhaal, chiamato a una delle sue prove attoriali migliori di sempre, è l’emblema indiscusso dei “nuovi mostri” visti qui all’opera. L’attore californiano, il cui valore dovrebbe esser chiaro a tutti dai tempi di Donnie Darko, I segreti di Brokeback Mountain e Zodiac, ha saputo in ogni caso superare se stesso, nell’impersonare il protagonista Lou Bloom e quel suo inarrestabile desiderio di una rapida e prepotente ascesa sociale. Uno sbandato a caccia di opportunità nella grande metropoli. Un campione del sottoproletariato urbano intenzionato a sgomitare con tutto e tutti, metabolizzando così le già ciniche richieste del mercato capitalista fino ad applicarle con uno scrupolo, una dedizione e un azzeramento dell’empatia, tali da risultare agghiaccianti. Nel profilo psicologico or ora sintetizzato il talento di Jake Gyllenhaal ha trovato un eccezionale brodo di coltura. Occhi quasi spiritati, puntati come fari sulla realtà circostante. Sorrisi dalle tante sfaccettature. Discorsi brevi e taglienti. Un’andatura da faina nelle sue peregrinazioni notturne. E soprattutto, specie nei dialoghi più intensi che pongono sotto accusa la condotta morale e professionale dell’uomo, un quasi subliminale alternarsi di piccole smorfie, sul volto del protagonista, che ne accentuano il continuo passare dalla difesa all’attacco, dal rabbuiarsi per le critiche appena subite al riprendere immediatamente il controllo della situazione. Con una freddezza di fondo che fa accapponare la pelle.

Intorno a questo corpo nervoso, elettrico, alla costante ricerca della prestazione, un Dan Gilroy in evidente stato di grazia (per quanto, come sceneggiatore, avesse già fatto intuire capacità interessanti) è riuscito a costruire un thriller giornalistico di rara intensità, montato con furore a ridosso di notti insanguinate, inseguimenti iperbolici e un’implicita quanto assurda competizione tra polizia e troupe televisive, relativamente a chi si affaccerà per primo sulla scena del crimine o di qualche altra tragedia. La truce realtà della Los Angeles by night vi appare come plasmata da un demiurgo, Lou Bloom, capace di manipolarla e di ridefinirne il senso a suo piacimento. L’occhio della telecamera da lui indirizzato diventa così un avvoltoio vorace. E a margine di questo teorema della visione foriero di parecchie inquietudini, Lo sciacallo – Nightcrawler si caratterizza anche per una interessante trasposizione dei conflitti di classe e della loro rappresentazione mediatica, coi casi di cronaca nera strumentalizzati ad arte per giocare sul senso di insicurezza della middle class statunitense. Gli ascolti valgono senz’altro di più delle scorie di quella deontologia professionale rottamata con disprezzo dal protagonista, incoraggiato in questo dal cinismo imperante.

Stefano Coccia

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