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Boston – Caccia all’uomo

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VOTO: 7.5

Dopo le bombe

Continua a partire dalla cronaca reale, il cinema di Peter Berg. Dopo il riuscito Deepwater – Inferno sull’Oceano sull’incidente occorso all’omonima piattaforma petrolifera nel 2010, ecco ora alzarsi ulteriormente l’asticella con Boston – Caccia all’uomo, titolo italiano fuorviante che comunque introduce in qualche modo il fatto dal quale prende spunto il film, ossia gli attentati esplosivi compiuti durante la maratona di Boston il 15 aprile 2013 dai due fratelli di origine cecena Džochar e Tamerlan Carnaev. Una tematica assai più delicata, per un crimine che è andato a colpire una parte estremamente sensibile della società americana, avrebbe richiesto una messa in scena formale del tutto differente rispetto a quelle, assai accurate sul piano spettacolare ma non sempre improntate al massimo realismo (i precedenti The Kingdom del 2007 e Battleship del 2012) nella filmografia di Berg. Il quale invece, nell’occasione, inserisce abilmente il cinema di genere da lui prediletto – il thriller d’azione – in un lungometraggio che aspira ad essere una sorta di ricostruzione fiction estremamente accurata dei minuti immediatamente precedenti e delle convulse ore successive al tragico fatto di sangue.
Convenzionale nella struttura narrativa ma decisamente moderno nella forma, Boston – Caccia all’uomo parte con una sommaria sebbene efficace ricognizione sulle persone destinate a rimanere coinvolte nelle esplosioni – due, in differenti punti del percorso della maratona – obbedendo quasi per inerzia al postulato hitchcockiano che mette lo spettatore nella condizione di essere a conoscenza di più elementi rispetto ai personaggi (perlopiù reali, nello specifico caso) del film. Una tensione a livelli quasi insostenibili accompagna dunque chi guarda in attesa dell’inevitabile, quando poi il film svolta decisamente nell’indagine serrata della ricerca dei colpevoli e quindi nell’azione pura della loro ricerca. Non bastasse tale riuscito mix – sia pure con qualche riserva sulla veridicità della durata alla caccia ai due terroristi: anche lo spettacolo, del resto, ha le proprie regole da rispettare, oltre che i tempi… – la sceneggiatura firmata a sei mani da Berg stesso, Matt Cook e Joshua Zetumer riesce ad infilarci anche un affatto scontato, almeno nel contesto, messaggio morale sulla necessità dell’amore per contrastare l’odio, pronunciato dal poliziotto Tommy Saunders (personaggio fittizio gratificato dalla sofferta interpretazione di Mark Wahlberg, ormai fedelissimo di Berg). Tutto ciò rende Boston – Caccia all’uomo un’opera in grado di sovrapporre in modo riuscito intrattenimento e spessore drammaturgico, riuscendo anche ad evitare – a dispetto di quanto avrebbe potuto lasciare presagire il titolo originale del film, cioè Patriots Day – una sin troppo semplicistica retorica composta da una gratuita esaltazione degli autentici valori statunitensi tipo democrazia, giustizia, uguaglianza e altre belle parolone che, soprattutto oggi, nel periodo della presidenza Trump, paiono ancora più paradossali nel loro significato compiuto.
Al tirar delle somme, quindi, Boston – Caccia all’uomo può considerarsi un esperimento cinematografico decisamente riuscito. A tal punto da far sorgere il dubbio, assodato il continuo inserimento da parte di Berg al montaggio di vere immagini risalenti a quei momenti, di non sapere con esattezza dove cominci il processo di rielaborazione di finzione e dove finiscano i confini del reale, a parte le “licenze spettacolari” a cui si faceva cenno poc’anzi. Un film insomma – peraltro arricchito da un cast di ottimo livello: Kevin Bacon, John Goodman, Michelle Monaghan e J.K. Simmons, oltre al protagonista Wahlberg – che non avrà la pretesa di stimolare chissà quali dibattiti, con l’eccezione della “problematica” sequenza dell’interrogatorio alla moglie statunitense di uno dei due terroristi, ma resta perfettamente capace di porre sul tappeto questioni etiche di una certa rilevanza su come l’essere umano è chiamato a rispondere di fronte a questioni senza dubbio più grandi della propria individualità e che vanno ad incidere sul concetto stesso di comunità. Se dunque il film finisce (anche) con l’essere un elogio alla compattezza della risposta della città di Boston ad un atto vigliacco come se ne compiono – è bene ricordarlo – ogni giorno in angoli meno “esposti” del pianeta, davvero se ne possono comprendere a fondo le ragioni.

Daniele De Angelis

 

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