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Saltburn

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VOTO: 8

Un ragazzo promettente

Allora è vero: Emerald Fennell mette paura. Non perché Saltburn – sua seconda fatica registica presentata un po’ in sordina alla Festa del Cinema di Roma 2023 – sconfini nel genere horror come canonicamente i cinefili lo qualificano; ma perché racconta, nell’oppressivo e antico formato dei 4:3, di un orrore sin troppo reale, addirittura tattile nella percezione. Conseguenza ovvia: film divisivo e pioggia di critiche. Scandalo e provocazione (gratuita?). Mentre la Fennell, un po’ sadicamente, si diverte ad illustrare l’autentica natura umana piazzando un numero esorbitante di trappole narrative sotto il naso del comune spettatore. Il quale, prevedibilmente e inevitabilmente, ci cade in pieno. Un esempio? Fino a metà della visione di Saltburn ci si crogiola nella black comedy così tipicamente british, giubilanti per il benvenuto ritorno del conflitto di classe. Oxford 2006. Con la tempesta social prossima ventura e tuttavia ancora nel limbo. Oliver Quick (un grande Barry Keoghan, pronto a divenire stella nel firmamento hollywoodiano. Speriamo non accada mai…) è il classico outsider. Studente con borsa di studio, di famiglia disastrata, guarda e invidia il bel Felix Catton, affascinante rampollo di famiglia ricchissima nonché di gran successo nelle amicizie e negli amori. Grazie a quella che sembra – assieme a tanti altri dettagli – una pura casualità i due si conoscono, generando un sentimento ambiguo, sospeso tra amicizia e attrazione. Fino a che Felix invita Oliver a trascorrere l’estate nella sua imponente, maestosa, tenuta di Saltburn. Occhio al nome, poiché rappresenterà un protagonista aggiunto del lungometraggio.
Primo twist, e il conflitto di classe va a farsi benedire. Oliver non è un paria ma un normalissimo figlio della borghesia. Uno come tanti. Un ragazzo che potrebbe essere nostro figlio, fratello, cugino. Noi stessi. Emerald Fennell, come già nella straordinaria opera prima Una donna promettente (2020), inizia il gioco al massacro. Nell’ opera d’esordio la cultura (?) beceramente maschilista; in Saltburn l’ossessione per il potere, sociale e non. Dalla commedia nera si passa al film di metaforici fantasmi. In tal modo si può infatti considerare la variegata famiglia Catton, capitanata da mamma Elspeth (una fulgida, meravigliosamente svagata, Rosamund Pike), con relativa frecciata al matriarcato, per par condicio. Una categoria di persone che non può non soccombere, di fronte ad un nemico che si finge amico.
Evidentemente cresciuta a pane e Hitchcock, la regista vola dunque alto direttamente verso il thriller, non risparmiando quei momenti scandalosi che Sir Alfred, all’epoca, poteva solo far intuire per motivi sia censori che di costume. Si contano almeno tre sequenze dichiaratamente “scabrose”, tutte avente per protagonista il generoso Oliver/Keoghan. Allo spettatore il piacere di apprezzarle oppure la soddisfazione di tacciare la Fennell di basso linguaggio cinematografico in odor di volgarità. Si suggerisce però di valutarle alla luce dello sconvolgente finale. Anche perché Oliver non è attratto sessualmente da Felix e nemmeno da sua sorella Venetia. La questione gira appunto intorno a Saltburn, la tenuta status-symbol che Oilver vede come Paradiso da scalare e raggiungere mentre nel film si trasforma gradatamente in un Inferno di anime corrotte.
Da qui l’orrore di cui si faceva cenno ad inizio articolo. La messa a nudo – perfetta, imperfetta, comunque maledettamente efficace – dell’animo umano non lascia scampo. Quasi una versione ultra-dark di Ritorno a Brideshead (sia il film di Julian Jarrold del 2008 che il romanzo di Evelyn Waugh del 1945) ma anche un’ibridazione del Cinema di quel genio di Joseph Losey (soprattutto Il servo, del 1963), anch’esso portato a mettere in scena quella metà oscura dell’essere umano che a troppi fa comodo ignorare.
In Saltburn convivono tante possibili istanze, oltre a differenti generi cinematografici. Ipocrisia e ossessioni. Risate e tragedia. Un viaggio attraverso metaforiche montagne russe che non lascia il tempo di riprendere fiato. Il consiglio per la visione è essenzialmente uno: sintonizzarsi su Prime Video (piattaforma dove il film è disponibile per gli abbonati) in solitudine per poi posizionarsi, subito dopo, di fronte ad uno specchio. Cosa rimanderà l’immagine? Un ritratto alla Dorian Gray oppure qualcosa che possa essere riconducibile ad un frammento di coscienza?
Come ogni grande opera che si rispetti Saltburn lascia assoluta libertà di scelta.

Daniele De Angelis

 

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