Fino in fondo
In un’annata cinematografica come quella appena trascorsa, su cui è calato implacabile il grigio velo della pandemia, c’era davvero necessità di un film come Una donna promettente. Un’opera capace di dissimulare, dietro apparenze volutamente ingannevoli, la propria natura pessimistica in grado di scuotere le coscienze come pochi altri lungometraggi recenti hanno fatto. E a destare ancora maggiore stupore il fatto che trattasi di un esordio contrassegnato da una lucidità d’intenti assai rara; mentre molta meno sorpresa suscita l’apprendere che la mente creativa a monte del film è una donna, la britannica Emerald Fennell, già attrice poi felicemente passata al comparto creativo come showrunner di serie di successo come ad esempio Killing Eve. Del resto Promising Young Woman – questo il titolo originale, che esplicita in maniera più diretta la natura di ironico ed anomalo coming of age del film in questione – è un’opera virata “al femminile” dal primo all’ultimo momento narrativo. Usando i toni colorati di una brillante commedia e, al contempo, aprendo un baratro di vuoto etico di quelli difficili da dimenticare.
Cassandra – detta Cassie – Thomas è la protagonista del film. La interpreta una meravigliosa Carey Mulligan, nella circostanza alle prese, anche in veste di produttrice esecutiva, con un ruolo in grado di caratterizzare un’intera carriera e per l’occasione eccellente nel mostrare solo in minima parte quell’aura da ragazza acqua e sapone esibita nei suoi character più celebri. Svelando pian piano il vero volto di un personaggio perfettamente in grado di sostenere, quasi da solo, il peso dell’intero lungometraggio della Fennell, anche sceneggiatrice di prodigiosa abilità. Si intuisce subito una nota stonata nella doppia vita di Cassandra, di giorno tranquilla impiegata in una caffetteria e di notte seduttrice di uomini con scopi ben precisi e non esattamente benevoli.
Sarebbe stata dunque sufficiente la costruzione di un personaggio articolato come quello di Cassandra (nome mitologico scelto non casualmente in virtù del suo passato e della sua lungimiranza…) a rendere degna d’interesse un’opera come Una donna promettente. Sarcasmo e battuta pronta che celano un trauma di quelli impossibili da cancellare. Meccanismi di autodifesa e attacco pronti a scattare in qualsivoglia momento. E la regia della Fennell risulta abilissima nell’adeguare i ritmi del suo film alla protagonista, pencolando senza sosta tra la commedia (anche romantica) e il thriller con sfumature morali. Avrebbe anche potuto arrestarsi in questo movimento a pendolo puramente cinefilo, l’opera prima della Fennell. Risultando così un rimarchevole excursus, assieme gradevole e urticante, nel sessismo maschile tutt’ora – e chissà per quanto – imperante nella società contemporanea. E invece no. Perché Una donna promettente trova nella sua coda ciò che manca a tanto cinema di oggi: cioè il coraggio di andare fino in fondo. Con un epilogo di rara cattiveria, ovviamente da non rivelare, Una donna promettente getta una luce sinistra sull’intera impalcatura su cui si reggono i nostri fragilissimi equilibri sociali, ad ogni latitudine del “civile” occidente borghese. Dove a regnare sono solamente arrivismo, ipocrisia e falso perbenismo. Anche e soprattutto nelle persone che, in teoria, dovrebbero andare a costituire la classe eletta di una società cosiddetta civile.
A conti fatti si potrebbe certo definire, non prima di aver lambito un orrore tanto intimo e perciò difficile da catalogare, Una donna promettente (anche) un revenge movie. Resta da intendersi verso chi sia davvero, in chiave extra-diegetica, indirizzata tale vendetta. Perché il folgorante lungometraggio della Fennell è un po’ come un’edera velenosa: quando ti avvolge nelle sue spire non ti libera molto facilmente. Lasciando segni visibili anche nello spettatore più smaliziato e distaccato. Ne sentivamo il bisogno, di questa beffarda risata dal retrogusto amarissimo.
Daniele De Angelis