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Troppo azzurro

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VOTO: 6,5

Il futuro può aspettare

Tra le opere prime di una stagione, quella 2023-2024, che ha visto proprio un esordio, ossia C’è ancora domani di Paola Cortellesi, sbancare i botteghini, battere tutti i record, conquistare l’Europa e fare incetta di premi, monopolizzando l’attenzione, ci sono tanti altri debutti che hanno provato a ritagliarsi uno spazietto. Chi più chi meno è riuscito a fare parlare di sé grazie alla circuitazione nei festival prima e nelle sale poi, altri che sono stati costretti a fare dei tripli salti mortali carpiati per ritagliarsi delle occasioni di visibilità. E infine ci sono debutti come quello di Filippo Barbagallo, diplomato in sceneggiatura al Centro Sperimentale di Cinematografia e figlio del noto produttore capitolino Angelo, che le sue carte non se l’era ancora giocate e ha aspettato pazientemente qualche mese dalla prima e unica apparizione pubblica lo scorso ottobre nella sezione Freestyle della 18esima Festa del Cinema di Roma per poterlo fare. Ma quel giorno è finalmente arrivato ed è il 9 maggio 2024, data scelta da Vision Distribution per l’uscita di Troppo azzurro.
Cominciamo con il dire che nel progetto non c’è lo zampino di Barbagallo senior, riprova della volontà di Filippo di camminare con le proprie gambe. Spazzato via il malizioso quanto maligno pensiero che probabilmente sarà balenato nella mente di tanti – noi compresi – al risuonare familiare del cognome del regista di turno, si può passare allo step successivo, quello dell’analisi critica di un film in cui l’autore ha deciso di metterci anche la faccia. Lo ha fatto oltre che scrivendo e dirigendo anche interpretandolo nei panni del protagonista, pur non essendo un attore professionista come altri esordienti della stagione in corso come la già citata Cortellesi, Micaela Ramazzotti (Felicità), Michele Riondino (Palazzina Laf) o Neri Marcoré (Zamora). Barbagallo si è ritagliato il ruolo principale indossando i panni di Dario, un venticinquenne aggrappato al suo equilibrio da adolescente che vive ancora a casa con i suoi e ha lo stesso gruppo di amici dal liceo. Quando nel torrido agosto romano inizia a frequentarsi prima con Caterina, una ragazza conosciuta per caso, e poi con Lara, la ragazza “irraggiungibile” che ha sempre amato, dovrà scegliere se restare nella sua comfort zone o lasciarsi finalmente andare.
Riuscirà il protagonista a superare la timidezza e fare una piccola follia per rendere la sua estate indimenticabile? Alla visione l’ardua sentenza. In attesa di scoprirlo va detto che il percorso narrativo e drammaturgico che segue e caratterizza il racconto non è, a differenza di quello che si potrebbe pensare, quello di un romanzo di formazione. Quella di Barbagallo è piuttosto la storia di una persona che ha delle problematiche, indipendentemente dall’età, in cui ciascuno può trovare o no delle corrispondenze, immedesimarsi oppure no. Ecco allora che Troppo azzurro non va circoscritto al filone del coming of age nonostante tematiche e stilemi comuni e affini, perché non ha la pretesa di essere un manifesto generazionale. Si tratta piuttosto di una dramedy che ci porta al seguito di un ipocondriaco affetto da un’ansia cronica, spaventato dalla vita, da ciò che “potrebbe accadere dopo”, che si tira indietro davanti ai rapporti con gli altri, in particolare quelli sentimentali. Lo seguiamo nel suo girovagare tra luoghi, affetti, amori, indecisioni, timidezze, distrazioni e clamorose maldestrezze, goffo e naïf quanto basta per volergli un po’ di bene e affezionarsi a lui. Gliene succedono di tutti i colori, un po’ come al Tanguy del film omonimo di Etienne Chatillez, con le disavventure e le gaffe che strappano sorrisi grazie ai diversi livelli di humour che di volta in volta la scrittura chiama in causa. Uno humour sottile, fresco e mai volgare che serve all’autore per passare in rassegna nevrosi e stati d’animo del protagonista, con quest’ultimo che sembra una sintesi dei personaggi morettiani e verdoniani, anche se è con quelli concepiti e interpretati da Gianni Di Gregorio (non a caso supervisore del progetto) che ha in realtà le maggiori affinità elettive.

Francesco Del Grosso

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