Filo di sabbia, filo di memoria
È un discorso che ciclicamente viene riproposto: il sovraccarico di informazioni e la fame dei media di proporre sempre nuovi temi per tenere avvinta l’attenzione del pubblico. Anche recentemente, con la cronaca della guerra in Ucraina scavalcata dai fatti in Israele, il tema è stato di nuovo sollevato. Il documentario Il filo di sabbia di Tommaso Valente e Paolo Maoret, distribuito in sala a scacchiera in futuro, ribadisce vieppiù la cosa. Il mediometraggio, dura infatti cinquanta minuti, segue l’attività delle associazioni umanitarie, in particolare quelle legate al territorio dell’Emilia-Romagna, che infatti figura tra i produttori, nei confronti della comunità dei Saharawi. Come spiega anche l’intestazione ad inizio della pellicola, i Saharawi sono un popolo stretto in una condizione di grande necessità all’interno di un conflitto che Algeria e Marocco portano avanti da molti anni e dipendono in tutto e per tutto dagli aiuti umanitari. L’intento del film è proprio quello di documentare gli sforzi dei volontari delle associazioni per sostenere la comunità di profughi. La sequenza iniziale che precede i titoli di testa è molto poco documentaristica. Più che altro sembra servire ad introdurre i protagonisti in una maniera che possa catturare fin da subito l’attenzione dello spettatore. Il tono della regia è molto asciutto è scarno fin dalle prime sequenze. Viene da pensare ad uno di quei reportages prodotti dalla Rai decenni fa con il rotocalco Tv7 e autori quali Sergio Zavoli, con il giornalista che va sul campo per seguire direttamente la vicenda e poi riportarla allo spettatore. La macchina da presa segue gli operatori umanitari nel loro lavoro di sostegno ai Saharawi. Vediamo i vari progetti messi in piedi dalle associazioni di volontari provenienti non solo dall’Italia. Ci viene mostrato come si interfacciano con la popolazione locale e con i responsabili in loco dei vari progetti. In alcune sequenze si cerca anche di mostrarci scene della vita quotidiana nelle comunità. Ci appare una quotidianità emergenziale. Un elemento che mette ancora più in risalto la necessità della presenza delle associazioni umanitarie. I protagonisti sono soprattutto i volontari. La macchina da presa li segue nelle loro interazioni e nel loro lavoro. L’asciuttezza del linguaggio cinematografico adottato evita facili patetismi che, in effetti, potrebbero fare più male che bene agli intenti della pellicola. Che sono, e ci appare evidente, quelli di riportare all’attenzione del pubblico una situazione che rimane di estrema gravità ed ingiustizia benché non sembri scaldare l’opinione pubblica. Ci sono sempre nuove guerre e nuove crisi, e ci sono sempre nuovi profughi e persone in stato di necessità. Questo però non è un buon motivo per dimenticarsi di quelle vecchie e delle persone coinvolte in esse. Il filo di sabbia è sicuramente un lavoro meritorio e necessario. Farlo conoscere è giusto e anche doveroso. Non possiamo prevedere che impatto avrà effettivamente sul pubblico, l’augurio è che riesca ad imporsi alla sua attenzione.
Luca Bovio
Una proiezione de Il filo di sabbia si terrà a Roma, presso il Teatro Villa Pamphilij, domenica 5 maggio alle ore 17:30.