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Under the Light

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VOTO: 8

Tra presente e passato

Si può tranquillamente affermare che l’eccezionalità abbia caratterizzato il passaggio a Udine di Zhang Yimou. Notevoli emozioni le ha generate naturalmente la sua stessa presenza al Far East Film Festival, presenza coronata dal Gelso d’Oro alla Carriera e da una masterclass in teatro così intensa da far venire la pelle d’oca a qualsiasi cinefilo.
Di fronte a ciò vi era persino il rischio che la premiere internazionale dell’ultimo film da lui diretto finisse in secondo piano. Ma la qualità del suo cinema non passa mai inosservata. Tantomeno se posta davanti a un pubblico attento come quello friulano. E qualcosa di eccezionale la può quindi vantare anche un titolo come Under the Light (Jian Ru Pan Shi, 2023), fosse solo per quel ritorno a un’ambientazione contemporanea, che fa tornare immediatamente alla memoria La locanda della felicità (2020).

Anche a prescindere dall’eleganza della messa in scena, dalla precisione del montaggio, dall’efficacia delle interpretazioni, che si tratti di un film in costume o di una narrazione contemporanea quel che ogni volta sorprende, di tale Maestro, è la capacità di raccontare storie che si interfacciano con la società e con la cultura cinese cogliendone in pieno la complessità, le più intime contraddizioni. In tal senso Under the Light ci ha fatto un po’ l’effetto che ci fece a suo tempo The Irishman di Martin Scorsese: in entrambi i casi non la più personale o la più brillante sul piano registico, tra le prove recenti di ciascun autore, ma una piccola summa di quelle scelte stilistiche e di quegli snodi tematici, che hanno fatto la grandezza del loro cinema.
Restando su Under the Light, tale lungometraggio rivela per l’ennesima volta una prerogativa importante, a nostro avviso, del grande cineasta cinese: l’essere al contempo interno ed esterno al sistema. Ovvero il venire a capo di grandiose produzioni cinematografiche che non minano l’assetto-socio-politico del gigante asiatico, che ne confermano in un certo senso i valori (anche attraverso l’ottimistico auspicio di una possibile affermazione della giustizia), ma che presentano comunque forti elementi di criticità nella narrazione. Senza lasciarci prendere troppo la mano dal voler trovare a tutti i costi una chiave ideologica, quest’ultima potrebbe tranquillamente essere di impronta “riformista”.

Ambientato nella fittizia località di Jinjang ma girato in realtà nella metropoli di Chongqing, coi suoi scenari ultramoderni, Under the Light nelle battute iniziali pare quasi fare il verso al cinema di Hong Kong, a quelle pellicole di genere delle quali ci siamo innamorati un po’ tutti nel corso degli anni. Assistiamo infatti alle tesissime trattative tra un uomo con diversi ostaggi su un autobus che minaccia di farsi saltare in aria e le istituzioni stesse, rappresentate qui sia dalla polizia che dal vicesindaco Zheng Gang (soggetto apparentemente bonario, rassicurante, la cui ambiguità di fondo emergerà nella storia poco alla volta), intervenuto personalmente. La vicenda in questione ha un epilogo almeno in parte tragico. Ma soprattutto è il fattore scatenante di una faida interna ai gruppi di potere attivi in città, che oltre al vicesindaco vedrà protagonista un discusso uomo d’affari, Li Zhitian, il quale pare legato all’altro da un oscuro passato.
Singolare (ma rivelatore ed emblematico, come vedremo) che ad indagare sulla catena di efferati delitti generatasi dopo l’attentato iniziale sia proprio il figlio adottivo del vicesindaco, Janming, poliziotto integerrimo e soprattutto ignaro di molti dei più torbidi retroscena famigliari.

L’intreccio così labirintico di eventi e di relazioni interpersonali quasi mai cristalline può rappresentare un ostacolo per parte del pubblico. Ma se si presta la dovuta attenzione, la scoperta di legami insospettabili e di tutto il “sommerso” assume sullo schermo forme avvincenti, rivelatrici inoltre del caos della Cina contemporanea, tant’è che Zhang Yimou, nonostante certe “cautele” o abili mimetizzazioni del sostrato critico più profondo, un rapporto difficoltoso con la censura per questo film ce lo ha avuto lo stesso. Un tema come la corruzione presente ai livelli più alti della società non è mai qualcosa di agevole da trattare, in Cina più che altrove. Il Maestro è riuscito anche qui a fornire un punto di vista non privo di spessore. Mettendo all’occorrenza a confronto lo spaesamento delle nuove generazioni e le possibili colpe dei “padri”, che per inserirsi al vertice hanno mostrato ben pochi scrupoli, minando l’integrità della nazione.
Questa secondo noi è la vera robustezza di un lungometraggio, cui non difetta peraltro l’incisività della componente noir o di quei brevi inserti melodrammatici, proposti in forma altresì asciutta ma ben resi da un cast che Zhang Yimou ha assemblato, come suo solito, pescando ai vertici del panorama attoriale cinese.

Stefano Coccia

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