Horror e disperazione a catinelle
Eravamo già entrati in confidenza con le sue idee in materia di horror e generi cinematografici all’ultimo Fantafestival. Paolo Strippoli ha infatti coadiuvato Roberto De Feo nella realizzazione di A Classic Horror Story, lungometraggio dall’estetica ibrida e dalle sfaccettature parzialmente inedite, riproposto sul grande schermo proprio durante la kermesse capitolina dopo l’enorme – e a nostro avviso meritato – successo raccolto sulle piattaforme.
Nel corso della Festa del Cinema di Roma 2022, per la precisione ad Alice nella Città, abbiamo potuto invece testimoniare la reazione entusiasta del pubblico dell’Auditorium Conciliazione, di fronte a questo suo lungometraggio da “solista”. Piove è veramente una boccata d’aria fresca, anzi, in questo caso sarebbe più opportuno dire di aria mefitica, nel panorama della produzione horror nostrana. Essendo l’ambientazione del racconto romana, tutt’al più tornano in mente certi ritratti malsani della grande metropoli che caratterizzavano a volte il giallo/thriller italiano degli anni ’70, vedi una pellicola assolutamente da riscoprire come Macchie solari (1975) di Armando Crispino. In uno scenario similmente (se non ancor più) apocalittico, Strippoli ha saputo inserire fermenti decisamente contemporanei, che possono a tratti ricordare certa novellistica splatter-punk alla Paolo Di Orazio. In particolare per il ruolo della famiglia e per quelle realtà ai margini, che trasudano disperazione e rabbia repressa.
In Piove la paranoia diffusa sfocia nella malvagità più sfrenata conseguentemente a premesse dal timbro quasi lovecraftiano: sono vapori immondi e venefici a risalire dai tombini, dalle tubature, dai servizi igienici pubblici e privati, facendo ammalare le persone nel profondo della loro psiche. Ma tocca poi, nel segno del miglior horror psicologico, a quei rapporti famigliari già minati da insicurezze, turbamenti, atti dichiarati di ostilità e traumi sepolti nella memoria, l’ingrato compito di “covare” il Male, fino a farlo esplodere nelle sue forme più virulente.
Notevole è stata pertanto l’attenzione rivolta al cast dal giovane regista: il maturare di ossessioni sempre più morbose a ridosso di traumi pregressi funziona alla grande, anche per merito di una valida caratterizzazione dei personaggi, nonché per l’impegno dei vari Fabrizio Rongione, Cristiana Dell’Anna, Aurora Menenti, Francesco Gheghi, Ondina Quadri, Leon de La Vallée, Carmen Pommella, Francesca Della Ragione e compagnia cantando, nel rendere quanto più credibili situazioni sempre al limite e atmosfere tese come corde di violino. Riguardo al mood dell’opera, inoltre, non si può affatto trascurare l’impatto di una confezione estremamente curata, dal respiro internazionale, cui hanno senz’altro contribuito l’eccellente fotografia di Cristiano Di Nicola e quelle inquietanti sonorità, che il compositore Rak Keunen si è portato in dote direttamente dal Belgio.
Stefano Coccia