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Oppenheimer

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VOTO: 8.5

Contemplando l’Abisso

Con la Storia, quella autentica, è impossibile scherzare. Christopher Nolan lo aveva già abbondantemente dimostrato in Dunkirk (2017), sottolineando il carattere umanista ed epico di un’opera incentrata su coloro che quella guerra – il Secondo Conflitto Mondiale – hanno contribuito a vincerla pur ritenendo di averla persa. Una “semplicità” narrativa, relativamente al cinema nolaniano, in grado di sfociare in genuine emozioni. La cifra stilistica di Oppenheimer è inevitabilmente differente. Non un semplice biopic ma un accuratissimo excursus su un periodo storico esemplare, soggetto a molteplici chiavi di lettura sia in ottica passata che presente e futura. Infine, come in ogni grande opera cinematografica che si rispetti, un film anche esteticamente diviso in più parti capaci di confluire in un’unica grande anima.
Già dall’incipit Oppenheimer imposta un radicale discorso filosofico sul personaggio principale, novello Prometeo che volle sfidare gli Dei rubando loro quel fuoco in grado di donare un potere assoluto. A vantaggio dell’umanità intera. Robert Oppenhaimer – come si evince dall’articolata sceneggiatura firmata da Nolan stesso con Kai Bird e Martin Sherwin, autori del libro ispiratore – è stato un visionario. Un uomo capace di guardare le cose ben oltre la realtà effettiva. La fisica quantistica divenne per lui modus di pensiero. In tempo di guerra gli venne affidato il cosiddetto “Progetto Manhattan”, unione di cervelli illustri allo scopo di mettere a punto l’arma finale e definitiva prima dei tedeschi capeggiati da Hitler. Nasce quindi Los Alamos, piccola cittadina nel deserto del New Mexico, dove verrà sperimentata la prima bomba H della storia umana.
La permeabilità del concetto temporale – esplicitata mirabilmente nel penultimo Tenet (2020) – diviene in questo caso per Nolan una profonda riflessione sui se ed i ma di una scoperta destinata a sconvolgere l’intero panorama mondiale. La cui portata risultò inizialmente sfuggente sia ai militari promotori dell’iniziativa che a molti tra gli stessi scienziati, soprattutto a quelli che paventavano la distruzione del mondo come effetto collaterale.
L’altra faccia del film è dunque il processo effettivo e morale che subisce Robert Oppenheimer, accusato di pregresse simpatie comuniste, dopo le esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki, decisive nel porre fine alla Seconda Guerra Mondiale. Ad un altissimo prezzo in termini di vite umane e danni conseguenti. Oppenheimer, inteso come opera cinematografica, si sdoppia allora, da visionario racconto sulla parte intima del personaggio, a sorta di pamphlet politico, accurato specchio dei tempi passati che si riflettono inevitabilmente nel presente. Un sofisticato, deleterio, gioco di potere fatto di sottilissimi equilibri, di pesi e contrappesi da misurare allo scopo di uscire indenni da una politica capace solo di tramare nell’ombra come avviene ancor oggi a tutte le latitudini. Un minuzioso atto d’accusa, da parte di Nolan, verso un mondo corrotto che, a voler trovare ad ogni costo un difetto al film, s’impossessa quasi d’imperio di tutta la parte finale del lungometraggio, sbilanciando un’opera sino a quel momento magistrale, composta di sequenze destinate agli annali della Settima Arte come quella silenziosa del Trinity Test – il primo collaudo della bomba H in terra statunitense – oppure quella, di enorme impatto emotivo, della simbolica visione di Oppenhaimer degli effetti dell’esplosione sulle persone presenti al discorso della vittoria.
Nobilitato da un cast all-star perfettamente in parte anche nei camei più brevi, con sugli scudi un Cillian Murphy (nei panni del protagonista) stratosferico nella sua personalissima interpretazione del personaggio principale ed un Robert Downey Jr. (nei panni della sua nemesi Lewis Strauss) in grado di innalzarsi al medesimo livello, Oppenheimer acquista il peso di un’opera fondamentale man mano che scorrono i suoi centottanta minuti di durata, durante i quali si rilegge un passato a torto da ritenersi ormai archiviato, se ne proietta l’essenza sul presente che viviamo e, speriamo mai, si predice un possibile, imminente, futuro che purtroppo mai come ora avvertiamo essere vicino. Confidando tutti, come extrema ratio, nell’istinto di conservazione dell’umanità.

Daniele De Angelis

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