Controtempo
Il significato del titolo dell’ultima fatica registica di Christopher Nolan è misterioso, criptico al pari della propria essenza. Per una possibile spiegazione rimandiamo il lettore ad una ricerca via web sul cosiddetto Quadrato del Sator e le sue molteplici chiave di letture, tenendo ben presente che in Tenet Andrei Sator (un Kenneth Branagh non indimenticabile) è il nome del fantomatico oligarca russo antagonista del protagonista interpretato da John David Washinghton. Un uomo ambiguo e ricchissimo, Sator, convinto che l’umanità non sia degna di redenzione, meritando così l’estinzione e un nuovo inizio.
Tenet è la parola. Tenet è misticismo, incrollabile fede. Tenet è un possibile futuro. Una lotta continua contro un nemico visibile, Sator appunto, ed un altro invisibile, imbattibile. Contro il quale tutti combattiamo strenuamente sino al nostro ultimo respiro. Il tempo. Quel tempo ingovernabile, ingestibile, che ci fa invecchiare minando inesorabilmente il nostro fisico e peggiorando (forse) il nostro senso etico. La filosofia insita in Tenet è che il tempo può essere modificato. Esistono delle porte attraverso le quali è possibile tornare indietro, nuotando a ritroso nel flusso esistenziale. Una suggestione che Nolan rende visivamente in maniera magistrale, mediante sequenze di una perfezione tecnica così elevata che si scolpiscono immediatamente nella retina di chi guarda estasiato. Compreso un inseguimento autostradale “controtempo” da lasciare senza fiato e parole.
C’è dunque, come premesso, un “eroe” – diamo al termine una nuova lettura, più ampia – senza nome. Una sorta di Messia (finalmente afroamericano) che si batte strenuamente per mettere ordine in un Caos millenario che prosegue perche il Tempo e la Storia non hanno insegnato nulla all’umanità. Altro è meglio non dire, perché suonerebbe quantomai superfluo. E Tenet, avviso ai naviganti, è un’opera difficile da espugnare, in quanto a significato ultimo. Proprio, come detto, al pari del titolo che gli appartiene. Un film che potrebbe dare ulteriore fiato ai detrattori di Nolan, quelli convinti dell’estrema auto-referenzialità del suo cinema. Il cinema di un genio convinto di essere tale. Sempre altero, forse presuntuoso. Ma di una grandezza inimmaginabile per chiunque altro, oggi.
Tenet guarda dunque al domani tenendo ben presente l’oggi. Un po’ come fece Michael Mann nell’incompreso Blackhat – opera con il quale il film di Nolan possiede molti punti in comune, anche e soprattutto ad una lettura simbolica – Tenet racconta lo stato delle cose, ma in chiave futuristica. Utilizzando il genere, che si voglia definire action, noir, spy-movie, sci-fi sarebbe tutto da stabilire, per rompere gli argini ed approdare a qualcosa di totalmente differente. Sono presenti le ossessioni tipicamente nolaniane di Memento (2000), nella incapacità umana di focalizzare appieno la realtà, oppure di Inception (2010), forse a tutt’oggi la summa della poetica di Nolan nel mostrare come il medium cinematografico sia in grado di creare nuove filosofie esistenziali nonché differenti universi non solo formali. Poiché nel cinema del regista britannico c’è sempre spazio, dopo l’aspra battaglia, per una rinascita. Ce lo aveva detto la guerra epica mostrata in Dunkirk (2017), lo ribadisce con forza anche Tenet. Dove il “soldato” John David Washington – figlio d’arte quanto si vuole ma comunque attore in irresistibile ascesa – indica la strada per un nuovo futuro. Accompagnato dalla statuaria Elizabeth Debicki (pronta all’ingresso nel firmamento delle star, dopo questa performance) e da una colonna sonora firmata da Ludwig Göransson talmente ricca di suggestioni moderne da rimanere impressa nelle orecchie ben oltre la visione.
Se Tenet diventerà un classico al pari degli altri lungometraggi di Nolan questo sarà il tempo, il “maledetto” tempo, a dircelo. Nel frattempo gustiamoci, dopo le note traversie sanitarie, un ritorno al cinema in grande stile. Spettacolare e complesso come solo pochi grandi film riescono ad essere.
Daniele De Angelis