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Godzilla e Kong – Il nuovo impero

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VOTO: 6,5

Scava, scava, eccoci nella Terra Cava

C’è forse un “peccato originale” nel rintracciare oggi in sala un film come Godzilla e Kong – Il nuovo impero di Adam Wingard (il cineasta statunitense che nel 2021 aveva già realizzato Godzilla vs. Kong, per inciso): il fatto cioè che poche settimane fa era stato distribuito anche in Italia il meraviglioso Godzilla Minus One del Maestro nipponico Takashi Yamazaki, uno che con i Miti contemporanei ci sa fare, considerando che in precedenza aveva saputo rinverdire i fasti di Space Battleship Yamato e di Lupin III.
Lo sguardo intriso di nostalgia per il Giappone di un tempo e la capacità di guardare alla tradizione dei kaiju eiga con rispetto ma senza timori reverenziali ha reso Godzilla Minus One un piccolo capolavoro. Con il nuovo capitolo di quel MonsterVerse gestito in condominio dalla Legendary Pictures e dalla Warner Bros potrebbe perciò esserci la tentazione di dire: ubi maior minus cessat. E sarebbe comunque un punto di vista superficiale. Poiché il nuovo franchise, coi suoi alti e bassi, ha stabilito in ogni caso un livello qualitativo importante, sul fronte della spettacolarità e di certe interessanti svolte narrative, per un intrattenimento magari standardizzato ma in cui nulla viene lasciato al caso.

Memore del fascino di tutti quei film d’avventura anni ’60 che avevano qualche “mondo perduto” quale fonte di meraviglia, Godzilla e Kong – Il nuovo impero ha nell’esplorazione della (non più) leggendaria e incredibilmente rigogliosa Terra Cava il suo principale motivo d’interesse. Se infatti l’imbattibile Godzilla è rimasto in superficie a bullizzare viscidi titani ovviamente imponenti ma carismatici quanto un’apparizione pubblica del sindaco Gualtieri (e non è un caso se alludiamo qui a Roma), come l’ammonite gigante Scylla o il serpente marino artico Tiamat, molto più appassionante appare da subito la “quotidianità” di Kong in quel mondo sotterraneo sul quale dovrebbe regnare incontrastato, ma in cui non mancano in realtà piccoli e grandi inconvenienti. Tra cui una carie… gigantesca! Quanto lo è la zanna che gli uomini della Monarch, come sempre in grado di “dialogare” coi mostri più evoluti, gli dovranno persino curare.
Tuttavia non saranno gli altri grossi predatori della Terra Cava a impensierire realmente Kong (e successivamente lo stesso Godzilla), bensì una nuova minaccia proveniente da un remoto passato, da un’epoca in cui la popolazione delle grandi scimmie era decisamente più numerosa. E incazzosa. Sul nuovo scenario non vogliamo anticipare altro, per non guastare eventualmente la sorpresa, limitandoci però a porgere al lettore il biglietto da visita di due new entries di spicco: il villain di turno, Scar King, enorme e sadico primate di cui colpiscono non soltanto la brama di potere ma le capacità strategiche e l’abilità nel costruirsi/maneggiare armi dall’aspetto conturbante; ma soprattutto il “monello” Suko a.k.a. “mini Kong”, un mini-gorilla gigante (se così si può dire) dal pelo rossiccio (e quindi forse un orango? Ci vengano qui in soccorso la buonanima di Piero Angela e gli sceneggiatori de Il pianeta delle scimmie) destinato a diventare la mascotte perfetta per il pubblico.

Di carne al fuoco ce n’è insomma parecchia. E avremmo potuto soffermarci molto di più sugli sviluppi narrativi! L’impressione generale è però che Adam Wingard gestisca il potenziale del plot in modo a tratti ispirato, a tratti svogliato, a tratti un po’ facilone. Ma qualche sequenza memorabile di tanto in tanto si affaccia. Faticheremo innanzitutto a dimenticare l’immagine di Godzilla accovacciato tra i ruderi dell’Antica Roma, nella speranza che il già menzionato sindaco Gualtieri (oggi ci piace parecchio citarlo, anche a sproposito, per quanto appartenga probabilmente più a una schiatta di mostriciattoli che a una stirpe di mostri giganti) non osi imporre anche a lui la ZTL, con conseguenze che sarebbero di certo nefaste, apocalittiche.
Anche questo capitolo del MonsterVerse si fa apprezzare comunque di più quando recupera frammenti di rilievo delle precedenti saghe nipponiche. E per chi se ne era innamorato, come noi, grazie ai film girati dal 1961 in poi che l’hanno vista protagonista o degnissima comprimaria, veder svolazzare nuovamente e imperiosamente la mistica, elegante falena gigante, Mothra, evocata per l’occasione dalla piccola Jia (in rappresentanza di quel popolo indigeno maggiormente a contatto con la Natura sia a Skull Island che nella Terra Cava), può rappresentare un piacere non da poco.

Stefano Coccia

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