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No matarás – Non uccidere

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VOTO: 5.5

Troppo in una notte

Non uccidere (No matarás, 2020) di David Victori, presentato al 30º Noir in Festival, ripropone l’annosa discettazione tra scopiazzatura o citazione cinematografica; soprattutto se non viene esplicitata nelle relative interviste promozionali riguardo al proprio film. Se nel primo caso si fa riferimento a quelle pellicole che prendono un’idea – fortunata – altrui e la riciclano senza grossi guizzi innovativi, nella seconda casistica si recupera quell’affascinante spunto di una pellicola di culto che ha colpito nel segno e le si rende omaggio, con piccoli aggiustamenti personali. Nel caso di No matarás si pretende maggiormente per la seconda opzione (anche se…), perché quel tipo di tematica, riassumibile in “nel volgersi di una frenetica nottata”, è stata ben sviluppata da un terzetto di pellicole, targate anni Ottanta, che sono divenute rapidamente dei cult. Le tre opere in questione sono: Tutto in una notte (Into the Night, 1985) di John Landis, Fuori orario (After Hours, 1985) di Martin Scorsese e Qualcosa di travolgente (Something Wild, 1986) di Jonathan Demme.

Non si vuole accusare David Victori e i suoi due co-sceneggiatori (Jordi Vallejo e Clara Viola) di abile furto cinefilo, ma la trama è troppo simile a quelle tre pellicole, in particolare sembra una condensazione di After Hours e Something Wild. Tutte e tre i film avevano come protagonisti giovani e grigi impiegati che, dopo aver conosciuto casualmente un’affascinante ragazza (due di esse in un bar-ristorante), si perdevano nelle stranezze delle tenebre cittadine. Anche in Non uccidere troviamo un giovane e tranquillo impiegato che, conosciuta casualmente in un McDonald una ragazza, si ritrova nel volgere di poco tempo in un vortice di situazioni pericolose che gli faranno scoprire un mondo sconosciuto e una parte nascosta di se stesso. Se in quelle tre opere i toni erano grotteschi (particolarmente in Landis e Scorsese), qui la tonalità si fa rapidamente cupa e si passa rapidamente al thriller. Tolte tutte queste corrispondenze, che chiaramente pesano, il film di Victori vuole essere una riflessione su come un evento casuale possa cambiare una persona, che reagirà come prima non aveva mai agito. Nel titolo c’è una chiarissima corrispondenza, abbastanza sardonica, al quinto comandamento, che vieta di uccidere ma che difficilmente si può rispettare in una circostanza estrema come quella che accade a David. Da questo punto di vista la trama sarebbe molto interessante, perché in fin dei conti è una situazione simile – sebbene come accennato già raccontato dalle famigerate tre pellicole – potrebbe capitare a chiunque, peccato che la messa in scena, tendente alla fisicità delle riprese come nel cinema di Michael Mann, sia troppo ridondante. Molto bello il piano sequenza iniziale, degno del miglior Brian De Palma, come è notevole la rocambolesca fuga, ugualmente girata in piano sequenza, di Daniel dal palazzo in cui è avvenuto il delitto, e molto efficace, piena di giusta tensione, la scena del fermo di polizia all’entrata dell’aeroporto, però voler mantenere questo tipo di stile adrenalinico per tutto il secondo tempo è stancante, anche se il regista voglia dare allo spettatore la stessa ansia del protagonista. David Victori, che si era messo in luce con il precedente El pacto (2018), co-sceneggiato assieme a Jordi Vallejo, dimostra di essere abile con le immagini, ma deve ancora maturare pienamente e cercare di lasciare da parte troppa cinefilia.

Roberto Baldassarre

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