Dal quartiere Alfa Romeo di Asmara alle coste calabresi
Donna, donna, musica, tu
Mi prendi bene soltanto tu
Quando sono insieme a te
C’è un concerto dentro di me
Collage, “Donna musica”
In Madame Luna vi è una scena allegra, festosa, in cui la protagonista trascorre momenti apparentemente spensierati coi malavitosi incontrati in Calabria, caratterizzata anche da quei brani pop in sottofondo, tra i quali ci è parso di riconoscere la leggendaria “Donna musica” dei Collage. Sempre che il caldo torrido di queste settimane non c’abbia dato alla testa!
Se abbiamo voluto isolare questa parentesi musicale, comunque insolita, per introdurre il crudo lungometraggio di Daniel Espinosa, è perché la troviamo emblematica di un’operazione cinematografica a modo suo originale, senz’altro ambiziosa, “spuria” volendo quanto lo è la colonna sonora; un insieme eterogeneo di musiche il cui collante è rappresentato dai brani appositamente composti dallo svedese Jon Ekstrand, ma in cui trovano spazio anche sonorità mediterranee o africane e musica leggera italiana.
Svedese, sebbene di origini cilene, è pure Daniel Espinosa: regista avvezzo a un cinema di genere esplorato prima in Scandinavia (vedi ad esempio Snabba Cash tratto dal romanzo La traiettoria della neve di Jens Lapidus, uno dei maggiori successi cinematografici in Svezia nel 2010), poi attraverso produzioni internazionali in lingua inglese sempre più grandi (Safe House – Nessuno è al sicuro, Child 44 – Il bambino numero 44, Life – Non oltrepassare il limite), culminate nella regia di un vero e proprio blockbuster come Morbius (2022).
Con Madame Luna l’eclettico cineasta è voluto tornare ad atmosfere più intimiste, umbratili, orientate persino verso il “sociale”, conservando però quella sua predilezione nei confronti delle traiettorie di genere e del “lato oscuro” del cinema. Sebbene il risultato rimanga a nostro avviso un po’ troppo al bivio tra le possibili scelte narrative.
Protagonista del cupo lungometraggio, che ci dicono ispirato ad episodi realmente accaduti, è per l’appunto Madame Luna, ovvero l’eritrea Almaz (impersonata con grande carisma da Meninet Abraha Teferi), passata in breve nella giostra della vita da spietata trafficante di uomini a rifugiata lei stessa, dopo che un’ulteriore destabilizzazione politica in Libia l’ha costretta ad abbandonare il paese e attraversare il mare assieme agli altri disperati.
Finita in un centro d’accoglienza calabrese, dopo alcune esperienze conturbanti a livello umano Madame Luna saprà riciclarsi nel sistema corrotto e criminale che regola la presenza degli immigrati, sfruttati all’occorrenza per lavorare in nero nei campi e nelle fabbriche. Fino ad allora cinica e sprezzante, la donna eritrea da un lato si lascia assorbire del sistema, dall’altro comincia ad avvertire aurorali sensi di colpa e qualche forma di empatia nei confronti dei connazionali tartassati. Fino a un epilogo plumbeo, che per un sussulto di dignità la vedrà prendere decisioni drastiche…
Coadiuvato in fase di scrittura da Suha Arraf (Il giardino di Limoni) e Maurizio Braucci (Gomorra), Daniel Espinosa ha tentato quindi di ibridare l’impronta sociale del classico film sulle dure condizioni in cui vivono (e vengono sfruttati) gli immigrati con una componente “noir”, che alla lunga finisce per apparire fiacca, scontata, annacquata, come le pose dei simil-ndranghetisti in questione. Nel passo così incerto, perennemente in bilico tra film di denuncia e crime story abbarbicata al “business” dell’immigrazione, sta forse il limite principale di Madame Luna, prodotto cinematografico animato dalle migliori intenzioni ma alla fin fine meno incisivo di quanto si vorrebbe, persino un po’ prolisso.
Stefano Coccia