Pillole miracolose: l’Italia è o non è un paese per vecchi?
Con rare eccezioni, la commedia non sta vivendo una delle sue stagioni più favorevoli, almeno in Italia. Forse per mancanza di idee, forse perché latita un adeguato ricambio per le grandi figure comiche del recente passato, forse perché si adotta un linguaggio audiovisivo troppo simile a quello della televisione e dei social, forse perché limitazioni “suggerite” (o imposte) dal politically correct ne minano la genuinità. Soprattutto quest’ultima ipotesi oltre ad apparirci fondata ci sembra una iattura notevole. Fortunatamente ogni tanto qualche boccata di ossigeno arriva. E, pur coi suoi limiti, un film come 30 anni di meno dell’esordiente Mauro Graiani (qui alla sua prima regia, ma con alle spalle una carriera di tutto rispetto come sceneggiatore), in uscita nelle sale ad agosto e visto da noi in anteprima proprio in questi giorni, presso il Cinema Adriano di Roma, può rappresentare quella ventata d’aria fresca di cui si aveva bisogno.
Sono principalmente due le ragioni che ci hanno fatto apprezzare il film. Da un lato il recupero di un presupposto surreale, fantastico, elemento questo che ha già fatto la fortuna di svariati film comici, nella nostra storia più o meno recente: vedi ad esempio Da grande con Pozzetto. E poi piace il confronto creatosi in scena tra due differenti generazioni di attori, quelli per così dire più “maturi” e quelli sulla trentina o comunque più giovani.
In 30 anni di meno ad accendere la miccia di una narrazione picaresca, gustosa, vivace, è il quasi contemporaneo ricovero in ospedale di tre sessantenni (o giù di lì) tutti alquanto acciaccati, ma dal percorso di vita assai differente, magistralmente interpretati da Antonio Catania, Massimo Ghini e Claudio “Greg” Gregori. Il punto di partenza è proprio l’improvviso malore che colpisce, in circostanze tragicomiche, il buon Greg, che qui si immagina “perno intellettuale” di una coppia omosessuale sposata da anni. L’incidente che ne causa il ricovero avviene proprio durante i festeggiamenti per quell’anniversario cui anche il marito, un più eccentrico, sfasato Nino Frassica, tiene visibilmente.
In ospedale, tra una miriade di personaggi buffi come quella guardia giurata che s’atteggia a “braccio violento della legge”, sono invece Massimo Ghini nei panni di un over 50 con attitudini da donnaiolo rimaste inalterate nel tempo (a testimoniarlo la t-shirt “I love Figa”) e un Antonio Catania tanto attaccato alla religione quanto pesantemente invecchiato in un rapporto matrimoniale d’altri tempi, i pittoreschi vicini di letto dell’inizialmente impettito e riluttante co-protagonista. Una degenza, la loro, che però durerà meno del previsto. Grazie al più intraprendente e spericolato dei tre, ovvero Massimo Ghini, una pillola cinese acquistata per sbaglio su internet rivelerà infatti incredibili effetti collaterali: come per magia, gli arzilli vecchietti (non tutti nello stesso momento e non solo loro, a dire il vero) si ritroveranno di colpo ringiovaniti di trent’anni, (più o meno) sani fisicamente e con propositi decisamente sbarazzini. Da qui quella “grande fuga” dall’ospedale romano in cui sono ricoverati, fuga che invero non li porterà troppo lontano, dato che come meta si sono prefissi… la vicina Tivoli!
Senza stare ad elencare le mille trovate inerenti al ringiovanimento del baldanzoso terzetto, si può dire però che la notevole comicità dell’intreccio si nutre soprattutto delle stralunate interazioni tra gli interpreti (eufemisticamente parlando) più esperti e i tre attori emergenti, chiamati a impersonarli nella loro versione ringiovanita: il siculo Claudio Casisa abbinato ad Antonio Catania, Claudio Colica alter ego di Greg e per finire il figlio d’arte Leonardo Ghini, volendo la scelta più naturale, dovendo egli sostituirsi (per quanto con un’inedita chioma bionda) al padre Massimo.
Quest’incontro tra “mostri sacri” della commedia italiana e “next generation” ha esiti complessivamente felici sullo schermo, anche per via delle situazioni sempre più assurde e paradossali previste in sceneggiatura. Nota di merito per il sorprendente Claudio Casisa, che, avvantaggiato da un profilo aquilino e da uno sguardo spiritato che gli riesce bene, nel momento in cui cede alla tentazione di sostanze psicotrope mai provate prima si ritrova protagonista di sketch irresistibili, tali da ricordarci le prodezze di Ewen Bremner in Trainspotting e The Acid House.
Talora sia a livello registico che – soprattutto – di dialoghi Mauro Graiani eccede un po’ in direzione di soluzioni caricaturali, quasi fumettistiche (difficile prendere troppo sul serio la presenza di una guardia giurata, tanto per dire, che ha conservato il posto di lavoro in ospedale dopo aver impallinato un paio di medici), eppure lo script diverte e lo fa pure, a nostro avviso, in modo abbastanza intelligente. Soprattutto per quel guardare all’Italia di oggi fuori dalle strettoie ideologiche del politicamente corretto, mettendo cioè a confronto rapporti famigliari tradizionali e coppie gay, mentalità “da posto fisso” e modelli sociali più fluidi e conseguentemente precari, ahinoi, così da strappare un sorriso e far riflettere semmai su come è cambiato il nostro paese negli anni, senza però far prevalere un qualsiasi, castrante giudizio sul libero, curioso, anarcoide e farsesco susseguirsi di eventi.
Stefano Coccia