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La stanza accanto

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VOTO: 8

Linee oltre il confine

Colpisce duramente al cuore quest’ultimo lungometraggio di Pedro Almodóvar. Il suo ventesimo per esattezza, La stanza accanto, il cui titolo originale è The Room Next Door, presentato alla 81°Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, a tre anni di distanza da Madres paralelas (con il quale aveva aperto la 78° edizione di Venezia). È il primo lungometraggio in lingua inglese, dopo la brevissima parentesi del cortometraggio The Human Voice con protagonista Tilda Swinton, con cui ritorna a lavorare in quest’ultima opera, tratta dal romanzo di Sigrid Nunez, “Attraverso la vita”, edito da Garzanti.
La storia ruota attorno all’amicizia tra due donne, Martha e Ingrid, interpretate rispettivamente da Tilda Swinton e da Julianne Moore. Un connubio perfetto che si rivela vincente fin dall’inizio della pellicola. Ingrid viene a sapere tramite un’amica in comune con Martha, che quest’ultima, è affetta da una grave malattia terminale e che le restano solo pochi mesi di vita. Decide di recarsi in ospedale dove è ricoverata e riallaccia un rapporto con la donna, scegliendo di starle vicina e di iniziare una convivenza che la porterà a starle accanto quando quest’ultima deciderà di porre fine alla sua vita.

Avvicinatosi alla soglia dei settantacinque anni, compiuti il 24 settembre, Pedro Almodóvar sente di raccontare con l’estrema delicatezza che lo ha sempre contraddistinto, una storia che ha il tema centrale della morte. Lo aveva già fatto con Parla con lei (2004) e Volver (2006).
La stanza accanto è, in tal senso, una messa in scena intima della pulsione di morte, non in quanto mero atto autodistruttivo, ma come affermazione di libertà di fronte alla scelta più estrema di tutte. Si può essere d’accordo o meno con la posizione di Martha nel film, non è questo il punto, ad Almodóvar interessa esaminarne i limiti, i margini, le zone d’ombra, per far risaltare l’umanità dei suoi personaggi. Con il progressivo avvizzirsi del corpo e della mente di Martha (una straordinaria Tilda Swinton), Almodóvar interroga se stesso, le sue due incisive protagoniste e gli stessi spettatori del film sul destino agonizzante di un pianeta e di una società al capolinea. Un destino tragico ed inevitabile che la donna interpretata da Tilda Swinton affronta con una nietzschiana forza di volontà che invece di compatire e temere la morte, celebra invece il potere della vita e della speranza.
Un’opera che, senza dubbio, riesce a farci riflettere in un periodo storico in cui un tema delicato come quello tratto dal regista iberico è ancora fortemente attaccato dalla politica di destra e dalla Chiesa cattolica, ma che lo annovera in un’era che sembra prendere le distanze dai suoi precedenti lungometraggi.

Giovanna Asia Savino

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