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La infiltrada

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VOTO: 7,5

Fuoco incrociato

Distribuito in patria lo scorso 11 ottobre, registrando al box office spagnolo uno dei maggiori incassi della stagione nel primo weekend di uscita, il nuovo film di Arantxa Echevarría dal titolo La infiltrada (Undercover) ha attirato su di sé, anche per le sue qualità artistiche, tecniche e narrative, l’attenzione della direzione artistica del Noir in Festival, che lo ha presentato in anteprima italiana nel concorso internazionale della 34esima edizione della kermesse milanese.
La pellicola, scritta a quattro mani dalla Echevarría con Amèlia Mora, racconta le vicende reali di Aranzazu Berradre Marín, lo pseudonimo usato da un’agente di polizia che si infiltrò per otto anni nell’ETA. Aveva appena vent’anni, quando riuscì entrare in uno dei gruppi dell’organizzazione. In quel periodo rinunciò a tutte le relazioni con la famiglia per smantellare il commando di Donostia (San Sebastián) in un momento nel quale la banda invocava una falsa tregua.
Quella narrata in La infiltrada è dunque la storia di una persona coraggiosa che ha cambiato la sua vita per cercare di salvare quella degli altri. Lo ha fatto in nome dei propri ideali, a caro prezzo, nonostante il pericolo, sacrificando se stessa e la sua giovane età. Sarà stato questo e l’importanza storica della vicenda a spingere la cineasta di Bilbao a mettersi alla prova, lasciando per la prima volta in carriera quello che è sin dal fortunato esordio con Carmen y Lola il genere di riferimento, ossia la commedia e i suoi derivati, per sconfinare nel period-drama dalle venature thriller. Il risultato per fortuna le ha dato ragione, con la Echevarría che ha saputo restituire sullo schermo tutta la gamma emotiva e il percorso umano della protagonista, incastonandoli all’interno di uno spettro drammaturgico più ampio che è quello socio-storiografico della lotta armata in Spagna, mostrandone le implicazioni e la catena di causa ed effetto. Queste due linee narrative coesistono, scorrono all’unisono e si alimentano a vicenda in maniera equilibrata, dando forma e sostanza a un film che consegna allo spettatore un coinvolgente ed empatico percorso che esplora sia la dimensione privata che quella pubblica. Il tutto attraverso l’utilizzo efficace dei codici e degli stilemi del genere poliziesco, la gestione della tensione che scaturisce da alcune scene distribuite nella timeline per alzare la temperatura (vedi quelle del posto di blocco, del prelievo della cartellina dall’appartamento e dell’adrenalinico finale), la cura nella ricostruzione storica che si evince dalla confezione e soprattutto l’intensità e la forza interpretativa data dalle performance di Carolina Yuste (Aranzazu) e Luis Tosar (Ángel) su tutti.

Francesco Del Grosso

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