(Ri)scoprire le radici
Pedro Almodóvar ha la capacità di stupire ancora, rimanendo fedele a se stesso commuovendoci e strappando sorrisi – ‘complici’ talvolta i silenzi e lo sguardo – come solo lui e le ‘sue’ donne riescono a fare in quel modo specifico.
Due donne condividono la stanza di ospedale nella quale stanno per partorire. Sono accomunate da un’altra condizione: entrambe sono single e, in qualche maniera, da sole, pur essendo circondate dall’affetto della migliore amica o della madre. Janis (una Penélope Cruz dolce, sorridente, che fa i conti con alcune cicatrici), di mezza età, non ha rimpianti e nelle ore che precedono il parto esulta di gioia. Ana (Milena Smit) invece è un’adolescente molto spaventata, ammette che, pur essendo stato un ‘incidente’ anche per lei, avvenne voluto che non accadesse. La prima si comporta nei suoi confronti come un’amica, di quelle vere che si conoscono da tempo e per cui non è necessario esplicitare certe emozioni poiché le colgono. Camminano per la corsia dell’ospedale per alleviare i dolori del parto che si avvicina e, parallelamente, è come se si astraessero da quella condizione, aprendosi l’una con l’altra a tal punto da creare un vincolo molto forte. A ciò si aggiunge il fato, il quale, nel fare il suo corso, complicherà in maniera clamorosa le vite di entrambe.
«Il film inizia con Janis che cerca un modo per aprire la tomba dove giace il suo bisnonno, assassinato durante la guerra civile spagnola. E termina tre anni dopo […] Al centro, c’è il suo rapporto con Ana, complicato in maniera inaspettata. Madres paralelas parla degli antenati e dei discendenti, della verità sul passato storico e della verità più intima dei personaggi. Parla dell’identità e della passione materna attraverso tre madri molto diverse tra loro. Insieme a Janis e Ana, c’è Teresa, la madre di Ana, egoista e priva di istinto materno. Come narratore, in questo momento sono queste madri imperfette, molto diverse da quelle che sono apparse finora nella mia filmografia, quelle che più mi ispirano. Questo è il personaggio più difficile che Penélope Cruz abbia mai interpretato e probabilmente il più doloroso. Il risultato è splendido. Al suo fianco, la giovane Milena Smit è la grande rivelazione del film. La purezza e l’innocenza della sua Ana accentuano le parti più oscure di Janis. Entrambe sono molto ben accompagnate da Aitana Sánchez Gijón e Israel Elejalde. Alla fine faranno tutti parte di una famiglia pittoresca e inattesa, ma comunque vera e autentica» (dalle note di regia).
Il punto è proprio questo: ci sono i colori, le sfumature e su tutto spicca la modalità di cominciare a tratteggiare la figura femminile da parte di Almodóvar fino ad affondare l’obiettivo della macchina da presa per cogliere dettagli impercettibili eppure sostanziali. Non è casuale – anzi è molto significativo, oltre che d’effetto – l’incipit in cui la nostra Janis appare a lavoro mentre scatta il book a colui che coinvolgerà nella ricerca del passato – personale e collettivo. Scrivevamo ‘d’effetto’ riferendoci ai titoli di testa in cui l’obiettivo della fotocamera evidenzia l’occhio di chi guarda, di chi è guardato per poi ‘ritrovarci’ in un fotogramma di una pellicola dove si ‘stampano’ i titoli, quasi a voler anticipare quel legame col passato che di lì a poco scopriremo. Un’interessante soluzione visiva, che, al contempo, si rivela metafora di come chi c’è dietro all’obiettivo possa immortalare ricordi (non approfondiamo volutamente) e/o abbia la capacità dello sguardo di andare ‘oltre’ e non fermarsi a spiegazioni che vogliono mettere a tacere – qui si collega la più ampia accezione di ‘madre Terra’ fortemente legata al passato proprio perché «la storia umana si rifiuta di stare zitta» (Eduardo Galeano citato all’interno del lungometraggio).
Madres paralelas è stato scelto come film d’apertura (in Concorso) della 78esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e dovrebbe essere distribuito nelle nostre sale dal 28 ottobre da Warner Bros. Italia.
Maria Lucia Tangorra