Libertà contro conformismo
“Attento osservatore dei cambiamenti della società italiana dal secondo dopoguerra sino alla metà degli anni Settanta nonché figura a tratti controversa, suscitò spesso forti polemiche e accesi dibattiti per la radicalità dei suoi giudizi, assai critici nei riguardi delle abitudini borghesi e della nascente società dei costumi come anche nei confronti del Sessantotto e dei suoi protagonisti. Il suo rapporto con la propria omosessualità fu al centro del suo personaggio pubblico.”
Così Wikipedia nel descrivere brevemente la figura di Pier Paolo Pasolini nell’introduzione alla sua scheda personale. Una descrizione piuttosto arida ma calzante. Pasolini fu sicuramente una delle figure di maggiore spicco del tempo nel quale visse. Difficile definirlo come un intellettuale organico. Figura di intellettuale tratteggiata da Antonio Gramsci nei suoi quaderni, il quale avrebbe dovuto fornire supporto ed aiuto al proletariato nella sua lotta di classe. Pasolini fu certamente un pensatore ed intellettuale comunista, severo e sferzante critico della società borghese. Eppure, nonostante questo, non si vede e non si legge nelle sue opere, siano esse films o libri piuttosto che testi teatrali, una realtà vista ed analizzata pedissequamente attraverso l’ideologia comunista. Tale ideologia fornisce certamente un appoggio, un punto di partenza alle analisi ed ai pensieri di Pasolini, ma non ne costituisce il formarsi e l’esaurirsi. Si avverte sempre una fondamentale onestà e libertà di pensiero nelle opere di Pasolini. Egli vede chiaramente la reale situazione degli appartenenti alle varie classi sociali e dunque non manca mai di metterle chiaramente in mostra per permettere a chiunque di elaborare un proprio pensiero.
Pasolini non ha mai evitato di affrontare un argomento perché troppo scabroso o controverso, mai si è ritirato da quella che poteva essere un’impresa ingrata per rifugiarsi in un comodo bozzolo di ideologia o, forse immagine più calzante, in una torre d’avorio dalla quale far cadere il proprio pensiero sul popolo. Mai si è avvertito un ché di paternalistico da par suo nei confronti del proletariato o della borghesia, obbiettivo privilegiato dei suoi strali. Questa sua fondamentale onestà intellettuale si è allargata a tutti gli ambiti componenti la società e la vita dell’essere umano, compresa la sessualità. Nella nota che abbiamo citato ad inizio di questo saggio c’è chiaramente scritto come Pasolini abbia messo la propria omosessualità ed il rapporto con essa al centro del proprio personaggio pubblico. Questo non vuol dire che fu un esibizionista della propria intimità; ma che non si nascose mai, accettando anche pesanti ripercussioni su questo. Tutta la vita adulta di Pasolini fu costellata di processi ed azioni legali, legati sia alle sue opere che alla sua persona.
Eppure il suo non fu un percorso lineare, quanto una progressiva presa di coscienza e maturazione sentimentale che lo portarono a rifuggire la possibilità di nascondere la sua omosessualità per parlarne invece liberamente e fungere esso stesso da esempio per un rapporto più libero e sincero tra le persone ed il sesso. Nella biografia e nell’opera di Pasolini, che poi in questo caso sono quantomai legate, possiamo riconoscere tre distinte fasi nel suo approccio al tema della sessualità. Una prima fase di carattere intimistico e privato, legata al periodo della sua gioventù e prima età adulta nei luoghi natii del Friuli e, segnatamente, del paese materno di Casarsa della Delizia.
È a questo periodo che risalgono i primi componimenti nei quali l’autore menziona esplicitamente la propria omosessualità e vi si confronta. La prima di tali opere è la raccolta poetica “L’usignolo della Chiesa Cattolica” (1958), che raggruppa scritti in lingua italiana e friulana e che comprende anche Il pianto della rosa (prima opera in assoluto nella quale Pasolini affronta il tema della propria omosessualità).
Al periodo friulano appartengono anche due romanzi brevi a lungo rimasti inediti e pubblicati postumi “Amado mio” e “Atti impuri”, due opere fortemente intimistiche e personali.
C’è in questo primo corpus di opere una forte influenza delle letture romantiche e classiche di Pasolini, il quale sembra voler ottenere una catarsi circa i primi confusi pensieri e le pulsioni che iniziano ad agitarlo. Sono testi giovanili nei quali slanci poetici e positivi si alternano a momenti di profondo scoramento e confusione. Rappresentano un vero e proprio diario intimo dell’autore e del suo costruirsi una propria coscienza di omosessuale senza vergogna.
La seconda fase si può invece far risalire al periodo nel quale si trasferisce a Roma.
Ha già dovuto affrontare il primo processo, è stato espulso dal Partito Comunista e deve ricominciare da capo. Nella capitale incontra Sergio Citti, con la quale inizierà un rapporto di amicizia che durerà tutta la vita dell’autore. È a questa fase che possiamo ascrivere alcuni dei romanzi più famosi di Pasolini: “Ragazzi di vita” (1955), “Una vita violenta” (1959) il film documentario Comizi d’amore (1964), le pellicole Accattone (1961) e Mamma Roma (1962).
È questa una fase che potremmo definire come “sociologica”. È un periodo di analisi, di studio appunto sociologico ed antropologico circa l’essere umano. Ed è proprio in questa fase che si comincia a vedere in Pasolini un atteggiamento naturalista verso la sessualità. L’autore, che ha studiato la società e continua a farlo, riesce ora a fotografarla, su carta e su pellicola, in maniera fedele, a comprenderne le varie componenti, tra le quali c’è anche la sessualità. I romanzi e i racconti di questo periodo dedicati ai ragazzi di vita ci riportano una realtà tutt’altro che idealizzata, nella quale la miseria umana di una società cresciuta senza ordine si mostra in tutta la sua drammaticità. Pasolini non si nasconde e non ci nasconde nulla. Pur critico nei confronti della borghesia non investe il proletariato di una luce purificatrice. Scevro di ogni retorica ci parla della condizione abbrutente delle fasce più povere della società che si ammassano nelle enormi borgate alla periferia di Roma.
In ciò percorrendo un percorso parallelo a quello del regista spagnolo Luis Buñuel il quale nel suo periodo di lavoro in Messico aveva realizzato Los Olvidados (I figli della violenza, 1950), una pellicola che metteva in luce con brutale sincerità la condizioni delle fasce più povere. E che, proprio come Pasolini non lesinerà attacchi alla società borghese.
I due autori mostrano come la povertà non sia nobile e porti le persone, compresi i più giovani che non sono per nulla “innocenti”, a diventare feroci e spietati, poiché questo è l’unico modo nel quale possono sopravvivere. E dunque, tornando all’opera pasoliniana, come anche il furto e la prostituzione siano solo un modo di guadagnare il necessario per mangiare. L’autore friulano inserisce sequenze di realismo quasi documentaristico per descrivere le vicende dei ragazzi di vita ed il loro rapporto con il sesso. Un rapporto privo di qualunque romanticheria o illusione, ma terragno e quasi animale. Il sesso qui è per lo più merce di scambio tra le persone. C’è chi vende e c’è chi compra, nessuno lo fa per piacere.
È in queste opere che si comincia a delineare la posizione di Pasolini verso la sessualità: essa fa parte dell’essere umano, della sua natura, della sua vita; non c’è nulla da nascondere o da mortificare.
Tuttavia questa fase non si presenta disgiunta da quella precedente. Dimensione intimistica e sociale sono profondamente collegate e si influenzano a vicenda. Tutto ciò è tanto più chiaro in Comizi d’amore, dove Pasolini affronta un’inchiesta nella società italiana sul tema della sessualità e scopre con amarezza quanto ancora tale argomento sia viziato da una profonda ignoranza e profondi pregiudizi. Particolarmente rivelatori sono gli scambi che l’autore ha con Ungaretti e Moravia, circa la sua posizione, che sarà poi la posizione di tutta la sua opera. Una fondamentale dicotomia tra libertà e conformismo. È il conformismo a regole non scritte, pregiudizi, costumi arcaici che influenzano negativamente la società e l’uomo per Pasolini. Ciò si evince certamente dalla spiritosa risposta di Ungaretti alla domanda se esista o meno la normalità o anormalità sessuale: l’anormalità basica è l’atto di civiltà che mette l’uomo in contrasto con la natura, tutto il resto non è che una conseguenza di questa anormalità “originale”.
Un pensiero rinforzato dall’osservazione di Moravia sul conformismo come “attestata certezza degli incerti”. È con questo documentario che Pasolini pone le basi più profonde della sua lotta al conformismo sociale, non solo borghese, che impedisce alle persone di vivere liberamente e serenamente la propria sessualità. Pasolini dunque fotografa un paese solo in apparenza progredito, nel quale lo sviluppo industriale non è sviluppo umano, della persona. Anzi vede quasi un regresso dell’essere umano. Ed in questo non manca di inserirsi anche una prima critica alla nuova società industriale, che nulla ha cambiato nell’anima profonda del popolo italiano, ancora pervicacemente attaccato ai retrivi costumi del passato. Un parziale riscatto Pasolini lo trova solo nei più giovani, in quei ragazzi e ragazze non ancora completamente impregnati dell’oppressiva cultura retrograda delle generazioni precedenti. Il che non si costituisce come una regola scritta, quanto più come una tendenza in crescita, ravvisabile soprattutto in quei giovani che hanno avuto accesso ad una migliore istruzione e, di conseguenza, ad un ambiente più aperto. Il che sembra introdurre nel racconto, o forse più nella mente di chi guarda l’opera, la necessità di una migliore istruzione per strappare le persone ai comportamenti più aberranti. Non possiamo dire che Pasolini postulasse l’esigenza di una educazione sessuale nelle scuole, ma probabilmente l’idea lo ha sfiorato.
L’istruzione certo può essere una buona difesa contro il più vieto conformismo, ma non si può essere sicuri di ciò, dipende molto da chi si occupa di questa educazione.
La terza fase del rapporto tra Pasolini ed il tema della sessualità può essere definita come “metaforica”. In questa fase, quella probabilmente più matura e della quale possiamo datare l’inizio alla fine degli anni Sessanta, in coincidenza con i moti ed i rivolgimenti del Sessantotto, all’intimistica ed alla sociologica lo scrittore assomma la dimensione metaforica al suo rapporto con la sessualità. Comincia qui infatti la stesura di una serie di opere nelle quali il sesso è usato soprattutto come metafora. Pasolini non rinnega le fasi precedenti, ma come già aveva fatto in passato le arricchisce di un nuovo sguardo e linguaggio che ampliano il suo discorso.
È a questo periodo che risalgono alcune delle sue opere teatrali (Porcile, Orgia, Bestia da stile, Affabulazione), il libro e poi film Teorema (1968), il film Salò e le 120 giornate di Sodoma (1975), il romanzo incompiuto “Petrolio” ed anche la Trilogia della vita, che però merita un discorso a parte.
In questo gruppo di opere la critica alla nuova civiltà dei consumi ed alla borghesia si fa più che mai acuta. E forse proprio questo costringe l’autore friulano ad un cambio di registro, ad accrescere il suo linguaggio dell’uso della metafora, a cercare nuove forme espressive per parlare di ciò che vede e pensa. Ed ecco dunque la scelta di un linguaggio da saggistica per scrivere “Petrolio”, nel quale si innestano molti influssi sia da Marx, che da molti autori russi, soprattutto Dostoevskij ed il suo romanzo “I Demoni”. Ma nel quale non si può mancare di rilevare qualcosa della metafora e del favolistico di Bulgakov. Qui all’intimità ed alla sociologia viene ad assommarsi definitivamente la metafora all’interno del discorso pasoliniano. Il che rende l’opera di Pasolini certo più complessa, ma in qualche modo anche più chiara. Il sesso come metafora dei rapporti di potere tra le classi sociali e gli individui permette all’autore di imbastire un discorso quanto mai sfaccettato che non lascia indietro le fasi precedenti, ma che anzi le innerva. Le tre fasi di qui abbiamo parlato arrivano a fondersi nell’opera di un autore che dimostra di avere oramai raggiunto una piena maturità creativa ed è oramai in grado di gestire più piani di senso contemporaneamente. La cosa ha anche il vantaggio di far evitare a Pasolini il rischio di rinchiudersi in un’arida critica a tutto ciò che lo circonda assumendo le forme del cinico disinteressato. Ed ecco dunque che al linguaggio immaginifico di “Petrolio”, si sommano le metafore di Teorema e di Salò o le 120 giornate di Sodoma.
In Teorema Pasolini usa la metafora sessuale per parlare della perdita di certezze che ha investito la società a cavallo degli anni Sessanta e Settanta, ed in particolare la borghesia. Lo fa attraverso uno stilizzato dramma in interni di una famiglia dell’alta borghesia italiana, segnatamente milanese, che vede sconvolti i propri ruoli ed equilibri sui quali si sosteneva tutta la costruzione famigliare da un misterioso ragazzo che prima seduce l’intera famiglia e poi scompare.
Altro discorso per Salo o le 120 giornate di Sodoma, dove Pasolini si confronta con l’opera di De Sade e l’impostazione del teatro di Brecht per parlare di quella che ritiene l’attegiamento sociale verso il sesso negli anni a lui coevi, ovvero il sesso come “obbligo e bruttezza”. Pasolini ci parla di una società nella quale a chi ha il potere tutto è permesso. Il film si riaggancia direttamente ad una impostazione già esplicitata dall’autore in “Petrolio”, Orgia e Porcile; quello della “permissività sessuale”. Non si voglia in questo rivedere un rigurgito di severa morale cattolica da parte di Pasolini, il discorso è più ampio e riguarda l’impianto generale della società.
Pasolini si scaglia con durezza contro la nuova società dei consumi, nella quale l’edonismo ha soppiantato qualunque altro principio. Il singolo si pone in rapporto agli altri solo e solamente in funzione di quale grado di soddisfazione, non solo certamente sessuale, egli sia in grado di ricavare e concedere. E tutto questo ci riporta alla teoria enunciata all’inizio di questo saggio: la fondamentale dicotomia in Pasolini tra libertà e conformismo.
Che libertà c’è in una società che tutto permette ufficiosamente ma non ufficialmente. Ci troviamo davanti ad un attegiamento quasi schizofrenico del potere che sottomette l’individuo ad un forzato obbligo di libertà, ma non la libertà che può scegliere il singolo, ma la libertà scelta dal potere.
Si ritorna anche al concetto di Marx di “mercificazione del corpo”. Il corpo delle persone è una merce come tutte le altre, le persone sono merci come tutte le altre, e dunque, esattamente come una qualsiasi merce possono essere sfruttati e poi abbandonati per poter essere rimpiazzati da nuove merci più fresche. I riti, le strutture e le organizzazioni delle vecchie società repressive vengono qui a trovarsi se non nobilitate comunque rivalutate perché quantomeno offrivano certezze ed un ruolo sociale ben definito a tutti i componenti la società. Nella nuova società, non solo italiana, sorta sul finire degli anni Settanta, questo non è più.
In tutto ciò si inseriscono anche le pellicole della Trilogia della vita:
Il Decameron (1971), I racconti di Canterbury (1972) e Il fiore delle Mille e una notte (1974).
Apparentemente in essi Pasolini compie un salto all’indietro verso una civiltà pre-industriale nella quale i rapporti tra le persone erano improntati ad un maggiore rispetto per l’altro. Si tratta appunto di un’apparenza. Anche per queste opere vale il discorso operato circa la terza fase “metaforica” del rapporto tra Pasolini e la sessualità. Con la Trilogia della vita l’autore vuole in realtà stabilire un parallelo tra la situazione del singolo nella società odierna e quella antica. In entrambe c’erano sfruttatori e sfruttati, la differenza però risiede nel ruolo che il sesso ricopre nei due tipi di società.
Nella società contemporanea a Pasolini il sesso è un obbligo imposto dall’alto per dimostrare l’avanzamento e l’evoluzione della società, il che tuttavia, per chi sa osservare come Pasolini, è più un indizio di regresso che di progresso. Nella società antica, invece, il sesso aveva una vocazione libertaria ed anarchica. Veniva usato come arma per rompere le impostazioni rigide della società, era un veicolo di anarchia vitalistica contro il soffocare delle imposizoni del potere e restituire, in qualche modo, dignità al singolo. Oggi, anni Settanta, questo non accade più. Poiché tutto sembra permesso nulla sembra più essere proibito. Così in realtà non è, scandali ci sono ancora, divieti morali ed etici, piccinerie e meschinità sono ancora ben vive, eppure tutto sembra ammantato di una pesantezza che ingabbia la società e coloro che la abitano. Si viene insomma a creare una curiosa contraddizione in termini attorno al concetto di “libertà conformistica”. Sei libero purché tu ti conformi ai nuovi costumi e poiché i nuovi costumi sono liberi, sei libero comunque. Insomma sei ibero solo se ti conformi al tipo di libertà scelto da altri. Una contraddizione in termini che neanche Pasolini riuscì a risolvere. Viene da chidersi che tipo di libertà possa essere quella libeertà imposta da altri.
Non è tuttavia questa l’unica domanda che viene in mente esplorando la tematica del rapporto di Pasolini con la sessualità. La seconda domanda ci riporta ai giorni nostri e riguarda la società nella quale viviamo oggi: è davvero cambiata rispetto alla società tratteggiata da Pasolini nelle sue opere?
Guardandosi intorno è difficile dire che sì, è cambiata. L’atteggiamento comune odierno è più diretto verso l’intrattenimento, con una sessualizzazione molto marcata di spettacoli e personaggi. Ciononostante perdura un senso di censura e condanna verso la libera espressione della sessualità.
E qui il discorso si fa prettamente sociologico poiché viene ad intersecare tutta la vicenda della lotta per i diritti della comunità LGBTQ+.
Resta comunque il fatto che il sesso non è pienamente accettato, è tollerato in quanto si è capito che può generare ricchezza. Ma il sesso, e la sessualità come concetto più ampio, no. Quindi da una parte abbiamo un discorso di apertura “pelosa” verso la pornografia, dall’altro un persistente atteggiamento condannatorio. Tutto ciò sembra comunque sempre inserirsi in quel discorso di permissività sessuale introdotto dalla società dei consumi già portato avanti da Pasolini e che oggi sembra essere ancora perfettamente attuale. La società non sembra essere poi molto cambiata dal tempo in cui ne scriveva Pasolini, sembra piuttosto essere diventata più ipocrita. Il sesso è sicuramente mostrato con più liberalità e la pornografia sta lentamente uscendo dal ghetto, ma un vero ed approfondito dibattito con conseguente presa di coscienza collettiva di quanto la sessualità sia una parte importante di noi stessi pare ancora di là da venire.
Malattie veneree, prostituzione legalizzata ed educazione sessuale nelle scuole sono ancora argomenti difficili da trovare nel dibattito pubblico. Ed ancora più difficile è che vengano trattati con serietà e profondità qualora nel dibattito pubblico compaiano.
Possiamo quindi dire che non c’è stato un vero cambiamento di paradigma nella società. Né durante la vita di Pasolini, né dopo. Sarebbe certo ingiusto dire che la società non sia per nulla cambiata, cambiamenti ci sono stati ed anche rilevanti. Ma il fondo valoriale, quello no. Si è forse visto un accrescersi dell’ipocrisia, in quanto se da un lato alcune battaglie civili venivano portate avanti ed anche vinte la società non coglieva l’occasione per cambiare le fondamenta. Il sesso, la sessualità ed il rapporto che società e singolo hanno con essi è un efficace canale per testimoniare tutto ciò e prendere con una certa pretesa di accuratezza la temperatura alla società. Non rimaniamo dunque stupiti da quanto ancora attuali risultino i pensieri e le parole di Pasolini. Il che, ben lungi dall’esserci di conforto, ci testimonia l’intelligenza di quell’uomo che seppe vedere con così grande lucidità la vera essenza della realtà che lo circondava, tanto da farne un ritratto capaca di superare le epoche. Ci testimonia altresì quanta strada deve ancora fare l’uomo per liberarsi dei più vieti conformismi e riuscire a costruire una società puramente libera ed egualitaria, nella quale il singolo sia realmente libero di essere sé stesso e possa esserlo in armonia con tutti gli altri.
Luca Bovio
Per approfondire:
Pier Paolo Pasolini, uno sguardo nel futuro
L’eredità di Pier Paolo Pasolini